by Editore | 19 Luglio 2012 17:02
MILANO – “Voglio uscire di qui, non ho fatto niente di male. È assurdo che si possa restare fino a 18 mesi”. Samantha, 34 anni, è una delle 13 transessuali brasiliane trattenute nel Cie di via Corelli a Milano. Redattore sociale l’ha intervistata stamattina, durante la visita al centro riservata ai giornalisti. È sorridente, solare e sembra reagire con forza alla sua condizione di reclusa. “Sono qui da una settimana, ma ci sono già stata per 25 giorni nel 2008 – racconta – quando la situazione era migliore: c’era un laboratorio di pittura, c’erano più cose da fare”. Ora invece, afferma “è un’eterna noia”, le giornate passano tutte uguali, in un limbo di cui non si conosce la fine. Samantha non si lamenta dell’assistenza, né della polizia. “Gli operatori della Croce Rossa sono gentili con noi – dice – ci trattano come esseri umani”. Ma descrive stanze e bagni in cattive condizioni, con docce e rubinetti rotti. “Dovrebbero chiudere il settore per un po’ e ristrutturarlo – afferma – per darci un po’ di dignità : siamo stranieri, non criminali”.
La sua giornata, racconta, inizia alle 8.30. “Mi sveglio, prego, faccio il caffè, poi mi lavo e per il resto del tempo aspetto, senza sapere cosa fare, camminando da una parte all’altra”. Dentro il Cie infatti non c’è molto da fare. La Croce Rossa sostiene di aver organizzato “diverse attività , in base alle richieste” dei trattenuti. Ma loro raccontano di giornate vuote, passate a tormentarsi sul futuro che li aspetta. “Sono nervosa e non riesco a dormire, per questo prendo una pastiglia di Xanax tutti i giorni, ma ci sono persone che prendono farmaci mattina, pomeriggio e sera” afferma. Il settore delle transessuali è separato da quello degli uomini. “A volte comunichiamo con i ragazzi, abbiamo un rapporto di amicizia – spiega – loro hanno cercato più volte di scappare”. Samantha dice di non avere ancora parlato con il suo avvocato e di non sapere quanto tempo dovrà restare all’interno del Cie. “Una volta uscita mi piacerebbe restare in Italia” conclude . (Ludovica Scaletti)
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