Ciarle gastronomiche del peso di una sfoglia
È giusto valutare le pubblicazioni dei docenti universitari, con lo stesso metro con cui essi valutano gli studenti. È uscito Non tutto fa brodo (Il Mulino 2012, euro 13) di Marino Niola professore di Antropologia presso l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli. Raccoglie articoli e riflessioni, scioglie alcuni debiti di stima, verso Carlo Petrini e verso Licia Granello, si attarda su alcune preparazioni famose, quali il babà e il flambé. Saggi di 4000 battute, poco meno o poco più, nel tono con cui si scrive nei giornali. Abbiamo voluto procedere a un esame nozionistico delle informazioni trasmesse, sia considerando la professione dell’autore, sia ritenendo opportuno sondare la qualità della ricerca che sta dietro alla scrittura. Abbozziamo dunque un gioco e applichiamo al testo e all’autore il trattamento riservato a uno studente che passa un esame, prendendo a caso il capitolo Sfoglie al vento.
Esame di storia della cucina, Università di… L’estate è cominciata con la prima sessione 2012 e parlar di forni e di sfoglie francesi, dà caldo. Ma è mattina e il professore formula una domanda a uno studente che ha l’aria preparata, Marino Niola, del secondo anno.
«Mi può parlare del vol-au-vent?».
«Il vol-au vent viene inventato da un genio della gastronomia come Antonin Caràªme…».
«Mi scusi, ma devo interromperla subito, il vol-au-vent era presente nel ricettario Les dons de Comus del 1739».
«Cioè… Caràªme, cuoco di un ministro, è l’inventore di molte preparazioni come il petit four, il millefoglie, le meringhe…».
«Questa volta non la correggo, anzi le insegno che il millefoglie è presente nell’Apicio Moderno di Francesco Leonardi del 1790 (Caràªme era, a quella data, bambino), i petits fours sono menzionati da Grimod de la Reynière dieci anni prima che Caràªme pubblicasse il Pà¢tissier royal parisien, e la ricetta delle meringhe era stata tradotta in lingua italiana nel 1766 grazie al Cuoco piemontese perfezionato a Parigi…».
«Ma io avevo letto…».
«Caro Niola, lei aveva in programma Gallizismen di Helga Thomassen e non si è peritato neanche di aprirlo…».
«… è scritto in tedesco…».
«Non le informazioni che le ho chiesto. Si ripresenti al prossimo appello».
A queste battute potremmo dare una diversa conclusione. Non tutto fa brodo entra nel programma universitario del professore, e l’allievo prende un 30/30 meritato. Oppure: i programmi ministeriali aboliscono alcune materie complementari considerate di scarso seguito, come la storia della cucina, e il testo in questione passa ai corsi di giornalismo divenendo un classico. Altra ipotesi ancora, Non tutto fa brodo viene tradotto in lingua francese con il titolo Brouillon de culture e ha un successo strepitoso.
Con tale metro di giudizio, prettamente universitario, l’esame critico di Non tutto fa brodo produrrebbe una lista interminabile di informazioni inesatte e di chiacchiere gastronomiche, rettificate puntualmente dal qui scrivente Capatti, ex-professore e recensore. Anche leggende, ripetute da tutti, come quella di Caterina de Medici «che sbarca nella capitale con una brigata di cuochi» non ci sono risparmiate ma è ormai inutile censurarle tanto si replicano. Le escursioni stesse, lontane dai libri di cucina, nel cinema, sono ispirate al pressapochismo e le cailles en sarcophage, che non dovrebbero mai trovarsi in un vol-au-vent, penoso errore del regista del Pranzo di Babette, naturalmente ci fanno il nido. Erano invece menzionate in Gastronomie Pratique di Ali-Bab (1912) come ortolani deposti in un tartufo nero intiero, un sarcofago appunto, e cotti nella cenere. Il critico gastronomico di «Le Monde», Courtine, aveva rilevato l’errore all’uscita del film, ma la storia della cucina e la critica cinematografica non hanno mai appassionato gli antropologi.
Dove finisce, in cucina, l’aneddotica e dove cominciano la storia e l’antropologia? È questo il vero problema che pone Non tutto fa brodo. Intrattenere o insegnare, distrarre o fare del nozionismo altrettanto facile, è un’alternativa che lo studioso di alimentazione impara a vivere quando esulando dai saggi accademici, conosce la stampa e vi scrive, con la raccomandazione di essere leggero, facile, discorsivo. È un po’ quanto si può supporre che Licia Granello abbia richiesto, per la sua pagina di «Repubblica» a Marino Niola e ad altri illustri collaboratori. Una cartella del peso di una sfoglia e non farla difficile. L’aneddoto che Antonin Caràªme abbia inventato il vol-au-vent era in Wikipedia (versione inglese), e sulla scia dell’entusiasmo anche «il petit four, il millefoglie, le meringhe» ci potevano stare a meraviglia, essendo impasti carinissimi meglio se legati a uno dei pochi nomi noti della cucina francese ottocentesca, che avrebbe scoperto in anticipo tutto, con una mossa da pasticcere. Molti giornalisti hanno letto testi di storia dell’alimentazione, preferendo gli aneddoti, e si può perdonare loro la leggerezza, forse non ai professori, a meno che abbiano il coraggio di spiegare ai colleghi che il sidice e il quasiquasi debbano essere premiati con punteggi nel concorsi universitari.
I brodi si sa sono infiniti, ma le ricette che li caratterizzano infinitamente precise, ossessive nei grandi cuochi italiani e francesi, e viene da dir «peccato!» quando si vede buttare nel pentolone ogni cosa venga per le mani, ogni idea che passa per la testa. Su una sola cosa lodiamo l’autore, il titolo da lui scelto la dice proprio bene, ed è azzeccato.
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