Buongiorno democrazia, addio ACTA?

by Editore | 24 Luglio 2012 11:38

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La bocciatura è arrivata in seguito alle numerose manifestazioni di protesta dei cittadini europei avvenute non solo in strada, ma anche attraverso social networks, e-mail e telefonate ai deputati. Il 19 giugno, la Commissione Petizioni del parlamento europeo si era riunita per discutere ben cinque petizioni (di cui una firmata da 2,8 milioni di persone) che chiedevano il respingimento del testo. Le reazioni al voto negativo del parlamento non si sono fatte attendere e in molti hanno parlato di risveglio della democrazia europea e di una vittoria del “popolo del web”. Ma cos’è l’ACTA e perché ha scatenato l’opposizione della società  civile e, conseguentemente, del parlamento europeo?

La problematicità  del trattato anticontraffazione si sviluppa sia sul piano del metodo che su quello del merito. Per quanto riguarda il metodo, il processo decisionale che ha portato alla firma di ACTA è fortemente caratterizzato da una mancanza di trasparenza e democraticità . Infatti, esso è il risultato di circa quattro anni di negoziazioni avvenute nella massima segretezza tra rappresentanti di Commissione europea, stati membri dell’UE nel ruolo di co-firmatari, Australia, Canada, Giappone, Marocco, Svizzera, Nuova Zelanda, Singapore, Corea del Sud e Stati Uniti. Inoltre, poiché paesi come Cina, India, Russia e Brasile hanno manifestato totale dissenso nei confronti delle norme per la tutela dei diritti di proprietà  intellettuale, ACTA è stato negoziato bypassando totalmente le organizzazioni internazionali competenti in materia di brevetti e proprietà  intellettuale (WIPO e WTO).

L’estrema opacità  delle trattative che hanno portato all’elaborazione del testo ne fa un esempio evidente di una pratica politica sempre più diffusa denominata “policy laundering”: usare lo strumento dei trattati internazionali (solitamente formulati a porte chiuse) per nascondere le responsabilità  decisionali e/o per raggiungere obiettivi impopolari a livello nazionale. Quali sono, dunque, le misure impopolari previste dall’ACTA? Il tentativo di rispondere a questa domanda fa emergere le criticità  che l’ACTA presenta anche sul piano del merito oltre che del metodo. L’obiettivo dichiarato dell’ACTA è combattere le violazioni dei diritti di proprietà  intellettuale, ovvero pirateria e contraffazione, attraverso il rafforzamento della cooperazione internazionale.

Sebbene l’ambizione del trattato possa sembrare più che legittima, l’ampio margine d’azione previsto dalle disposizioni contenute al suo interno mostra che l’accordo ha una natura solo apparentemente commerciale. Ad esempio, è alquanto inusuale per un trattato commerciale prevedere sanzioni penali: ACTA, invece, dedica un’intera sezione all’esecuzione in ambito penale dei diritti di proprietà  intellettuale. L’opposizione al trattato si è scatenata soprattutto a causa alle norme riguardanti l’ambiente digitale in esso contenute. Infatti, disponendo la responsabilità  anche per le persone legali che favoriscano in qualsiasi modo le infrazioni dei diritti di proprietà  intellettuale e obbligando gli Internet Service Providers (ISP) a fornire direttamente ai titolari di diritti i dati privati sugli utenti che violano le norme sul copyright, l’ACTA conferisce un ruolo di “sceriffi del web” ai fornitori di servizi internet ed apre la strada a meccanismi extragiudiziali per l’accertamento delle violazioni e la comminazione delle sanzioni. Volendo fare un esempio concreto, questo significherebbe che gli ISP potrebbero essere accusati di favoreggiamento ogni qual volta non fornissero i dati di utenti che, passando dai propri server, abbiano violato i diritti di proprietà  intellettuale. Questi elementi sono alla base della principale critica mossa nei confronti dell’ACTA ovvero che, nel tentativo di tutelare i diritti di proprietà  intellettuale, giunge a ledere importanti libertà  civili quali la libertà  d’espressione, opinione, privacy e giusto processo. Ad esempio, non è difficile immaginare che di fronte al pericolo di incappare in procedimenti penali, i fornitori di servizi internet possano iniziare ad oscurare preventivamente anche contenuti non lesivi dei diritti di proprietà  intellettuale.

Un secondo aspetto, meno conosciuto ma altrettanto controverso, riguarda le possibili conseguenze che il trattato potrebbe avere sul mercato dei farmaci. I promotori di ACTA sostengono che il trattato possa essere utile per la lotta al commercio di farmaci contraffatti e quindi potenzialmente pericolosi per la salute. I detrattori, invece, hanno fatto notare come, concentrandosi sulla tutela dei brevetti, il trattato ostacoli l’importazione parallela (pratica consentita ai paesi in via di sviluppo) e dunque possa generare una diminuzione della disponibilità  di farmaci a prezzi accessibili nelle aree più povere del mondo. Come affermato da Kader Arif, ex relatore di ACTA per il Parlamento europeo, il problema risiede nel fatto che ACTA tratta i medicinali generici alla stregua di quelli contraffatti e permette il sequestro e la distruzione preventiva delle merci ritenute contraffatte in transito alle frontiere senza l’intervento di un giudice terzo, ma sulla base delle sole denunce da parte dei detentori di brevetti farmaceutici.

Come affermato inizialmente, la buona notizia è che grazie alla mobilitazione della società  civile, il Parlamento europeo ha finalmente svolto il proprio compito di rappresentante della volontà  popolare e ha bloccato il processo di ratifica del trattato da parte dell’Unione Europea. Forse è un po’ presto per parlare della creazione di un’opinione pubblica europea, ma sicuramente questo evento costituisce un importante passo avanti di un lento cammino. La notizia un po’ meno buona è che niente è per sempre: le norme contenute nell’ACTA potrebbero presto riapparire ben mascherate all’interno di qualche altro trattato. La storia di ACTA insegna che occorre sempre vigilare le istituzioni e i processi decisionali per controbilanciare i poteri forti che promuovono prepotentemente i propri interessi a tal punto da riuscire a far collocare i diritti di proprietà  intellettuale su un livello più alto di quelli delle libertà  civili. In ogni caso, per ora possiamo dire: “Hello Democracy, Goodbye ACTA”.

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