BOWLBY, AMATO-ODIATO DALLA PSICOANALISI
La teoria dell’attaccamento ha avuto un’ influenza importante negli ultimi trenta anni nella psicoanalisi, nel cognitivismo e nella psicologia dello sviluppo, mettendo in luce il ruolo delle prime esperienze con i genitori nello sviluppo della personalità . Oggi può sembrare un’affermazione scontata, ma in passato la teoria dell’attaccamento si è dovuta scontrare con le concezioni psicoanalitiche che sostenevano la centralità delle fantasie sessuali ed aggressive nello sviluppo infantile oppure con le tesi innatiste dello sviluppo infantile che lo riconducevano alla dotazione genetica.
Ora il libro John Bowlby dalla psicoanalisi all’etologia di Frank Van Der Horst (Cortina, pagg. 198, euro 22) ripercorre in chiave storica ed epistemologica lo sviluppo e il successo della teoria dell’attaccamento attraverso la storia del suo fondatore, appunto lo psichiatra e psicoanalista inglese John Bowlby (1907-1990). Van Der Horst nel tracciare il percorso professionale di Bowlby valorizza l’influenza delle sue esperienze infantili di separazione, prima la perdita della sua governante e poi il distacco dalla famiglia quando fu mandato in collegio, che lo avrebbero segnato dolorosamente. Più tardi, se da una parte Bowlby fa esperienza diretta delle scuole progressiste, influenzate dalla psicoanalisi, dall’altra si trova nel pieno delle controversie che infiammano il mondo psicoanalitico britannico e vedono contrapposte Melanie Klein ed Anna Freud. Bowlby, fin da allora, tiene fede alla sua convinzione empirista secondo cui occorre documentare nel modo più attento e affidabile le osservazioni cliniche, come nel suo studio effettuato negli anni Quaranta su 44 giovani delinquenti, molti dei quali avevano avuto un’infanzia fortemente travagliata. Ma se queste erano state le intuizioni iniziali di Bowlby le sue successive esperienze lo portano ad osservare il malessere dei bambini che erano stati allontanati dalle famiglie impegnate nello sforzo bellico. È anche il tema di una sua monografia sulle cure materne, realizzata nell’ambito dell’Organizzazione mondiale della sanità , che lo spinge anche a studiare le conseguenze psicologiche dell’ospedalizzazione dei bambini, che allora veniva effettuata precludendo la presenza dei genitori. Da qui inizia il percorso di differenziazione di Bowlby dalla teoria psicoanalitica, nonostante ne riconoscesse l’importanza delle osservazioni cliniche. L’insoddisfazione di Bowlby per il modello intrapsichico della psicoanalisi di allora, secondo cui il bambino sarebbe influenzato dalle sue pulsioni interne minimizzando l’intreccio delle relazioni quotidiane, lo spinge a ricercare nuove frontiere. E proprio in quegli anni si afferma l’etologia con personaggi di spicco, come i Nobel Lorenz e Tinbergen, che forniscono una cornice ed una metodologia, mutuate dal campo animale, per studiare le relazioni dei bambini con le figure significative. In questo contesto interdisciplinare comincia a prendere corpo la teoria dell’attaccamento che ha una forte base evoluzionistica: non è la pulsione sessuale a motivare il comportamento umano ma è la ricerca di sicurezza, che nel bambino si realizza con la vicinanza all’adulto che si prende cura di lui. La reazione del mondo psicoanalitico è fortemente negativa, la stessa Anna Freud ritiene che Bowlby sia ormai perso per la psicoanalisi. Ma il percorso di Bowlby prosegue, convinto come è delle sue idee, confermate sempre più dagli studi animali come quelli di Harlow oppure dagli studi con i bambini di Mary Ainsworth.
In questi ultimi anni c’è stato un riavvicinamento fra la teoria dell’attaccamento e gli sviluppi più recenti della psicoanalisi relazionale, anche se permangono differenze consistenti. Di diverso parere è l’autore del libro, che ritiene che Bowlby abbia adottato un approccio etologico diverso dalla psicoanalisi. Eppure psicoanalisti come Winnicott e più recentemente Stern o Sander hanno un approccio abbastanza vicino a quello di Bowlby, anche se alla particolare sensibilità di quest’ultimo per lo studio del comportamento umano non corrisponde un’analoga attenzione per i meccanismi della mente.
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