by Editore | 10 Luglio 2012 8:26
ROMA — «Sbattiamocene i coglioni e pensiamo a noi». Questo frammento di una conversazione telefonica fra l’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito e l’ex capo della sicurezza di Umberto Bossi, Maurizio Barcella, dice tutto a proposito della considerazione che certa politica ha delle aziende di Stato. Perché questo colloquio imbarazzante nella forma e nei contenuti, che potrete ascoltare stasera alle 21.30 durante la prima puntata de Il Lecito, programma di inchieste del giornalista del Sole 24 Ore Claudio Gatti trasmesso da La7, riguarda proprio una impresa di Stato: la Fincantieri, leader mondiale delle navi da crociera controllata dal Tesoro italiano. Dice Belsito a Barcella: «Mauri, ho parlato adesso con Scarrone… Lui mi ha detto guarda, mi ha dato un consiglio: è meglio che venite giù all’una perché poi loro devono pubblicizzare la cassa integrazione, non possono far passare il contratto da dirigente che devono fare casino con il governo. Quindi sbattiamocene i coglioni e pensiamo a noi».
«Scarrone» è Sandro Scarrone, capo del personale della Fincantieri il quale, secondo la ricostruzione di Gatti, ha in evidenza sul tavolo una pratica fortemente caldeggiata dall’ex tesoriere leghista. Ovvero, l’assunzione come dirigente della grande industria navale del fido Barcella, che Bossi ha portato a Roma come suo capo di gabinetto al ministero delle Riforme, nonostante un curriculum non proprio ortodosso per quel ruolo. Una pratica talmente importante da essere chiusa, a quanto lascia intendere quello scambio verbale, proprio mentre ci si sta apprestando ad annunciare la cassa integrazione.
Che cosa c’entra Belsito in tutto questo? Il tesoriere del Carroccio è consigliere di amministrazione della Fincantieri, in quota Lega. Lo è stato una prima volta nel 2003. Ma ora è tornato con una prospettiva folgorante: quella di essere nominato vicepresidente. E ancora non sa che alla morte di Maurizio Balocchi, che lo ha preceduto nell’incarico di partito, ne erediterà anche la poltrona governativa: sottosegretario alla Semplificazione. Caso unico, nella storia repubblicana, di un membro del governo che è anche contemporaneamente amministratore di un’azienda pubblica. Lo è per sette mesi, prima di dimettersi nel luglio 2011. Poi perderà anche la poltrona da sottosegretario con la caduta del governo Berlusconi, e in seguito allo scandalo della gestione dei rimborsi elettorali della Lega verrà espulso dal partito insieme a Rosi Mauro.
Ma torniamo indietro di un paio d’anni. Belsito sponsorizza quindi Barcella, all’epoca capo di gabinetto di Bossi, per un posto da dirigente della Fincantieri. E la cosa, conclude Gatti, va in porto. Lo proverebbe un altro breve colloquio telefonico che Il Lecito manderà in onda. Parlando con Belsito, l’amministratore delegato della Fincantieri Giuseppe Bono gli preannuncia una telefonata proprio a Rosi Mauro, capo del sindacato padano, vicepresidente del Senato e allora potentissima esponente del cerchio magico bossiano, per informare anche lei «che ho fatto la lettera di assunzione per Barcella e per quell’altro… come si chiama?», «Dalmir Ovieni», lo aiuta Belsito. Ovieni Dalmirino, come ha raccontato sul Corriere Luigi Ferrarella, è stato fondatore della società consortile «Il Quartiere» promossa dal sindacato padano e presieduta da Rosi Mauro, nonché consigliere di una società di costruzioni di cui la stessa vicepresidente del Senato nel 1994 era amministratrice.
Dimostrazione ulteriore che curriculum e competenze, in questa operazione, non sembrano affatto prioritari. Belsito ne parla al telefono addirittura con la moglie di Bossi Manuela Marrone, riferendole il commento di Scarrone: «…Il direttore mi ha detto: Franci, già che siamo in confidenza, guarda che noi a un diplomato di scuola professionale non l’abbiamo mai fatto firmare un contratto del genere. È la prima volta nella storia della Fincantieri…». L’ex insegnante Manuela Bossi inorridisce: «Scuola professionale? Non ha neanche un diploma? Francesco…». E Belsito: «No. Questo qui cosa ha mai fatto nella vita? Tutto gli hanno messo per iscritto. Tutto! Persino la casa! Non è mai uscito un contratto così da quell’azienda, mai!».
Interpellata in merito, la Fincantieri ha risposto che né il nome di Barcella né tantomeno quello di Ovieni, hanno mai avuto un riscontro negli organici aziendali. Meglio così. Dunque era soltanto una sceneggiata? Chissà . Ma quelle innocenti telefonate confermano pur sempre che la politica e le imprese pubbliche sono ancora la stessa cosa.
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