by Editore | 4 Luglio 2012 9:13
MILANO — C’era una volta, e c’è ancora, il ricorso alla mobilità per i dipendenti considerati in esubero nel settore privato. Con la «riforma Brunetta» (la legge 15 del 4 marzo 2009) questo strumento è stato introdotto anche nel pubblico impiego, arricchito con un aggettivo in più: «mobilità obbligatoria». Ma di che cosa si tratta? In pratica ogni ente pubblico e tutte le singole amministrazioni dichiarano i lavoratori in esubero, da collocare poi in mobilità obbligatoria per 24 mesi, a cui verrà riconosciuto per l’intero periodo l’80% dello stipendio. Al termine dei due anni, se il dipendente non è stato nel frattempo collocato presso un ufficio diverso (che ha bisogno di personale), viene licenziato.
Ad oggi, però, non si sa quante sono le amministrazioni che hanno utilizzato questo meccanismo e quanti sono i dipendenti pubblici finiti in mobilità obbligatoria. Al dipartimento della Funzione pubblica è ancora in corso il monitoraggio della situazione. In attesa che arrivino i risultati, il caso più significativo riguarderebbe la fusione tra Inps e Inpdap: un accorpamento che comporterebbe, stando alle prime stime, ad almeno 5 mila esuberi nella fascia dirigenziale. Tutti pronti per essere collocati in mobilità obbligatoria.
E di mobilità obbligatoria ha parlato proprio ieri anche il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi, come possibile meccanismo da utilizzare, nell’ambito della spending review «per gestire le eccedenze».
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