Atene è di nuovo fuori rotta torna lo spettro del default Ue: ristrutturare ancora il debito
ATENE — Facendosi aria con un ventaglio di plastica, la signora seduta su uno sgabello promette alla folla frettolosa della metropolitana di piazza Omonia la sua ricetta economica: «Vuoi battere la crisi? Compra due tagliandi». Pochi si fermano, anche la lotteria costa. Comunque sono più numerosi di coloro che ascoltano dallo schermo di una tv il drammatico discorso di Antonis Samaras in Parlamento: «Alcuni irresponsabili vorrebbero farci uscire dall’Europa. Ma noi dimostreremo che la Grecia è in grado di farcela». Per riuscirci bisogna convincere soprattutto la Troika, da ieri in visita per verificare quel che sanno tutti e che da qualche ora trapela anche dalle fonti di Bruxelles: la Grecia non ha fatto i compiti assegnati e ora si impone una nuova manovra per rinegoziare il debito. Paul Thomsen, Matthias Mors e Claus Mazuch, un danese e due tedeschi, si sono presentati ieri mattina nei palazzi del governo di Atene per iniziare la loro verifica. Domani incontreranno il ministro delle finanze, Yoannis Stouranas, e venerdì tireranno le somme con Samaras. Ma già domani il capo del governo avrà un colloquio con Manuel Barroso. Ufficialmente, come sempre in questi casi, Bruxelles dichiara che la visita del numero uno della Commissione «era programmata da tempo» ma è un fatto che una visita del genere non si verificava dal 2009 e che quella di domani finisce per coincidere con il momento più delicato per la permanenza della Grecia nella zona euro. Tanto da far ritenere che serva la presenza di Barroso per sancire un nuovo patto che leghi Atene a Bruxelles. Quello che era stato negoziato con la Troika nei mesi scorsi è infatti, evidentemente, fallito. «La nostra economia perderà il 7 per cento nel 2012», dice Samaras nell’orgoglioso discorso al gruppo parlamentare del suo partito, Nea democratia. Non è una cifra a caso. Perché le previsioni economiche della stessa troika, quelle su cui si basava il piano di tagli ormai fallito, prevedevano per il 2012 un calo del pil del 3,5 per cento, la metà di quanto effettivamente si sta realizzando. Come mantenere le stesse riduzioni di spesa se crolla la ricchezza del Paese? Cosà, dietro quella che le fonti di Bruxelles definivano ieri «una manovra aggiuntiva», potrebbe nascondersi in realtà una diversa graduazione dei tagli. Bisogna fare presto. Anche se la troika darà il suo responso a settembre, già entro il 20 agosto Atene deve trovare i 3,2 miliardi di euro necessari a restituire un prestito alla Bce. Draghi potrebbe concedere una dilazione ma è sicuro che se a settembre non arriveranno i 31 miliardi di euro della seconda tranche di aiuti europei, la Grecia andrà in default e la dracma tornerà a sostituire l’euro. «Se ritorna la dracma la Grecia sarà più forte, batteremo l’euro», dice un bancario in pensione chiacchierando con il cameriere in un caffé dietro il Parlamento. Molti la pensano come lui. E altri potrebbero aggiungersi se gli «irresponsabili» di cui parla Samaras continueranno a trattare questo paese come uno studente che non ha fatto i compiti. L’unica cosa da evitare è di far montare l’orgoglio nazionalistico. Il sogno della superdracma è chiaramente infondato. Bisogna evitare il nazionalismo anche perché nel piano di tagli del governo è previsto un massiccio ricorso alle privatizzazioni. Se pochi piangeranno per la vendita a privati delle partecipazioni pubbliche in società come la Hellenic Petroleum o la Depa che distribuisce il gas, diversa porrebbe essere la reazione quando verranno messe sul mercato (con la formula della concessione per 99 anni) alcune delle più belle spiagge di Rodi e di Corfù. O quando passeranno di mano porti e ancoraggi per barche turistiche o alcuni palazzi storici al centro di Atene. Sacrifici probabilmente inevitabili se si vuole mantenere l’obiettivo di abbassare il rapporto deficit-Pil dal 160 per cento di oggi al 120 entro la fine del decennio. Sacrifici impossibili da realizzare se verranno vissuti come l’ennesimo tributo alla vorace Germania in una Atene dove già oggi il commerciante si scusa: «Il conto sarebbe anche più basso ma, sa, sono aumentate le tasse, dobbiamo pagare la Merkel». Così la Troika e Barroso si troveranno ad affrontare in questi giorni un nemico più insidioso dello spread: il senso di frustrazione e risentimento di un popolo che solo un mese fa ha scelto la linea pro euro di Samaras e che adesso chiede in cambio un piano di sacrifici meno duro di quello pianificato. Il vero problema è che tutti i nodi stanno venendo al pettine in pochi giorni. Compreso quello delle procedure, della burocrazia, delle mille leggi che rendono difficili anche le operazioni ritenute più semplici, come la privatizzazione di Opap, la società che gestisce le lotterie nazionali. Proprio quelle che vivono dei tagliandi venduti dalla signora con il ventaglio in piazza Omonia. E se avesse ragione lei?
Related Articles
Ruffolo, la moneta e l’ironia storica La lezione di Carlo Magno per l’euro
ROMA — La Grecia, il Paese che più di tutti rischia di uscire dall’euro, fu alle sue origini «il centro di un grande sistema monetario». Siamo nel V secolo avanti Cristo. Un predominio assoluto, finché la guerra del Peloponneso e poi Alessandro Magno mettono fine a tutto questo.
L’orgoglio greco nella notte del no
La festa spontanea a piazza Syntagma, subito dopo i primi risultati. Migliaia di bandiere greche, per strada un’intera generazione di giovani travolta dalla crisi
Il ritorno del Capitale
Lo studioso francese Thomas Piketty analizza tre secoli di evoluzione dei paesi occidentali: “La rendita cresce più del Pil, per questo aumenta la disuguaglianza”. “ L’economia è soffocata dal denaro. Come ai tempi di Marx”