Antidoti alla banalità  in forma di romanzo

by Editore | 27 Luglio 2012 8:40

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Esistono ancora lettori giovanissimi che includono tra le gioie dell’estate quella di leggere voracemente, in qualche angolo e per conto proprio, un libro che hanno scelto «perché sì»? Ma certo che esistono, e, soprattutto se vanno regolarmente in biblioteche non ancora stroncate dalla spending rewiew, possono pescare in una produzione vastissima, perfino eccessiva e appena appena scalfita dalla crisi economica.
Peccato che, nonostante il motto dell’editoria specializzata sembri essere «per tutti i gusti e per tutte le età », i libri di narrativa per ragazzi tendano ad assomigliarsi sempre di più, anzi, ad assomigliare a un mediocre film per la tv perfino quando sono scritti benino e hanno una trama che più o meno regge. Non si tratta di novellizzazioni, no, ma di storie così profondamente imbevute della narratività , dei personaggi, delle immagini, dei dialoghi passati per decenni attraverso il piccolo schermo, da sembrare già  pronti per uno sceneggiato juvenile senza infamia e senza lode, perfino oggi che la televisione non la guarda più nessuno, a meno di piombare a capofitto in una di quelle serie che secondo Jonathan Franzen rappresentano il romanzo realista contemporaneo. Quasi tutta la narrativa per i cosidetti young adults è affetta da questa tara, da questo condizionamento profondo di cui sembra difficile liberarsi, e lo stesso vale, con qualche cautela pedagogica in più che non migliora certo le cose, anche per i libri per bambini e ragazzi. Ma ci sono, naturalmente, le eccezioni: non poche, e a volte notevolissime. 
Sono da non molto in libreria, per esempio, due romanzi per lettori dai nove agli undici anni (uno più, uno meno, visto che le fasce di età  sono più che altro un’opinione, di fronte ai gusti, alla maturità  e alle capacità  individuali di ogni singolo ragazzino) che sembrano possedere tutte le qualità  di un libro «vero», e non essere semplicemente delle storie adattabili indifferentemente a qualsiasi formato, dallo svolgimento prevedibile (uno spettatore bene allenato di serie tv è in grado di capire come funziona una trama qualunque sin dal secondo capitolo) e dai personaggi costruiti su misura. Due romanzi in cui a fare la differenza sono la scrittura e l’originalità  dello sguardo, e anche il fatto che gli autori hanno prima di tutto deciso di raccontare una storia che stava loro a cuore e che li divertiva, senza pensare ai requisiti che secondo gli editori (ma anche gli insegnanti, o i genitori, o gli adulti in genere) sono indispensabili per confezionare un libro per ragazzi con tutti i crismi, vendibile ancora prima che leggibile.
Il primo dei due autori si chiama Jo Nesbà¸, è norvegese, scrive nerissimi polizieschi che hanno enorme successo in tutto il mondo e sono stati pubblicati in Italia prima da Piemme e poi da Einaudi (l’ultimo, Lo spettro, è in libreria da poche settimane), mentre il secondo è Roddy Doyle, popolarissimo romanziere irlandese pubblicato da Guanda. L’uno e l’altro hanno ormai una certa familiarità  con la letteratura giovanile, visto che Nesbภè al terzo volume di una saga irresistibile e Doyle è alla sua quarta prova in questo campo: e bisogna dire che i loro nuovi libri (entrambi pubblicati da Salani, come i precedenti) non deludono affatto, anzi, sembrano addirittura migliori dei precedenti.
In Il dottor Prottor e la distruzione del mondo forse (pp. 334, euro 14,80) Nesbภtorna ai personaggi dei suoi libri precedenti (Il dottor Prottor e la superpolvere per petonauti, del 2009, e Il dottor Prottor e la vasca del tempo, del 2011), e cioè uno scienziato stravagante alle prese con invenzioni fuori del comune, un ragazzino di piccolissima statura e gigantesca sfacciataggine di nome Bulle, e la sua amica Tina, audace, energica e piena di buon senso. Stavolta li vedremo alle prese con una invasione aliena che dagli adulti appassionati di fantascienza può essere letta come una sfrenata parodia, o ancora meglio come una reinvenzione di tutti gli stereotipi del genere, ma che per i lettori più piccoli sarà  semplicemente un’avventura capace di travolgerli con un ritmo serrato, un mucchio di sorprese, una grande passione per la giustizia e un’altrettanto grande antipatia per le ingiustizie, e un’inedita quantità  di risate. Divertimento puro, e di alto livello: uno di quei libri che, letti da bambini, diventano un magnifico ricordo una volta cresciuti.
La gita di mezzanotte (pp.158, euro 11) è invece un romanzo più pensoso e complesso di quelli cui Doyle ci ha abituato con le sue precedenti prove per il pubblico giovanile: una storia che vede riunite tre generazioni di donne, dalla ragazzina Mary (la protagonista) a sua madre Scarlett alla nonna Emer, che in ospedale aspetta di morire. Sarà  una anziana e misteriosa donna dall’aria sfuggente, Tansey , ad aiutarle tutte e tre, trascinandole in una fantastica avventura notturna che somiglia a un sogno; come uno spettro dickensiano, benevolo e concreto, pungente e ironico, Tansey sarà  la loro guida attraverso il tempo, intrecciando al presente le storie delle persone che hanno sfiorato la vita di Emer e di conseguenza la loro. Una storia bellissima, insolita, che non vuole offrire conforto o spiegare la morte, ma neppure esorcizzarla o negarla.
Una storia sorprendente, insomma. Ed è questo che i bambini, i ragazzi vogliono da un libro: che li stupisca, che sappia evocare cose meravigliose e a volte terribili, per poter pensare, un giorno, il mondo in un altro modo.

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