by Editore | 25 Luglio 2012 8:44
MADRID — L’ultima volta che il ministro dell’Economia spagnola Luis de Guindos era stato in Germania per «periodici incontri bilaterali» con il collega Wolfgang Schà¤uble, la settimana seguente Madrid aveva chiesto 100 miliardi di aiuti per il suo sistema finanziario. Eppure tanto lui quanto il suo capo, il premier Mariano Rajoy, fino al giorno prima avevano continuato ad assicurare che le banche del regno erano salde e sicure. Poi, improvvisa, la necessità di tappare la voragine. «Certe cose — disse Rajoy a mò di scusa — non si possono annunciare».
Anche ieri sera è andata in scena una recita simile. De Guindos e Schà¤uble che si parlano a porte chiuse a Berlino, poi, senza passare davanti ai giornalisti, il comunicato sulla «necessità di un’unione bancaria come previsto dal vertice del 29 giugno». Déjà vu. Tanto per il caso Bankia quanto per i salvataggi di Grecia, Irlanda e Portogallo, negati sino all’ultimo. Ormai certe dichiarazioni sono davvero difficili da credere. «Faccia da poker» è un’espressione spagnola che rende l’idea. Tanto più che de Guindos invece di tornare a casa passerà anche da Parigi, l’altra capitale europea che ha peso nella decisione se liberare o meno le risorse necessarie.
Se l’apparente schizofrenia dovesse ripetersi, fra una settimana la Spagna chiederà all’Europa il finanziamento dell’intero bilancio statale. Non 100 miliardi come per le banche, ma 300 (secondo analisti inglesi) o 400 miliardi (secondo analisti tedeschi) in modo da coprire il fabbisogno almeno fino al 2014.
I giocatori del poker europeo possono rimanere più immobili di una sfinge, ma molte delle carte che hanno in mano sono di dominio pubblico e non dicono niente di buono. Da quando, venerdì, la Regione di Valencia ha annunciato di dover chiedere finanziamento allo Stato, si sono aperte le cataratte. Lo spread è balzato stabilmente oltre quota 600 (ieri 638) e nel mercato secondario il debito spagnolo è costretto a pagare il 7,6% di interessi. La Borsa è caduta ai livelli di nove anni fa. Eppure proprio quel giorno erano finalmente stati sbloccati i primi trenta miliardi per le banche. Ieri, altra sirena d’allarme. Un’asta per 3 miliardi di titoli a tre e sei mesi ha chiuso con rendimenti a 2,65 e al 3,95, vale a dire che bonos a breve o a lungo termine pagano lo stesso interesse stellare. Per gli operatori di Borsa, è il segno che il fallimento è dietro l’angolo.
La cancrena sembrerebbe cominciare dalla periferia. Dopo Valencia e Murcia, anche Aragona e soprattutto l’orgogliosa Catalogna hanno smesso di nascondere la necessità di finanziarsi a prezzi più ragionevoli di quelli del mercato. Il debito accumulato da Barcellona è di 42 miliardi, il più alto tra le regioni spagnole, e i catalani vorrebbero ricevere da Madrid almeno il denaro che serve a rinnovare il debito alla scadenza nei prossimi due anni. In scala ridotta né più né meno di ciò che la Spagna intera chiede a Bruxelles. Nella trattativa interna, però, si aggiungono altre dinamiche.
Biancaneve non c’entra, i catalani sanno di chiedere un frutto a rischio veleno. La normativa è tutt’altro che chiara e concedendo un prestito Madrid potrebbe pretendere di mettere le redini all’autonomismo catalano con tagli ad hoc per «ri-spagnolizzare» l’area: chiusura delle «ambasciate» catalane, stop ai finanziamenti per la traduzione in catalano di libri e film stranieri o ai finanziamenti per il sistema scolastico (in catalano).
Economicamente la Regione — Generalitat — è sana. Il debito è appena il 20% del Pil locale (200 miliardi nel 2009). Solo che le tasse raccolte sulle Ramblas non restano lì. I partiti autonomisti (e sempre più spesso tentati dall’indipendentismo) che governano Barcellona calcolano che ogni anno volano a Madrid senza più tornare almeno 16 miliardi, pari al 9% del Pil della Generalitat. «Viviamo molto al di sotto delle nostre possibilità » dice Joan Maria Piqué, portavoce del «president» Artur Mas.
Il sistema statuale spagnolo è molto decentrato, lascia alle Regioni la gestione del welfare, ma quando si è trattato di rientrare nei parametri europei i tagli sono andati soprattutto lì. I governi locali resistono. Di più le pochissime, come la Catalogna, non governate dal Partido Popular del premier. Ieri lo stesso Rajoy ha parlato per mezz’ora con Duran Leida, rappresentante di Barcellona, nei corridoi del Parlamento. Trattavano le condizioni dell’aiuto. Proprio come il ministro de Guindos sta facendo nel suo giro europeo a nome della Spagna intera. Si saprà fra una settimana?
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