by Editore | 24 Luglio 2012 8:41
Concentriamo, però, la nostra attenzione sul libro di Bertante (difficile dire se siamo di fronte a un romanzo breve o a un racconto lungo), perché risulta essere proemiale alla collana stessa, il cui intento è quello di presentare libri che riflettano il tempo presente, usando forme narrative poco usuali e con una particolare attenzione allo stile e alla lingua.
La magnifica orda è composto da tre racconti in cui lo stesso personaggio – l’Io narrante – si muove dall’adolescenza all’età adulta, passando per l’eternità . Per un tentativo di descrizione formale del libro, è necessario non tanto guardare a canoni e stilemi letterari, quanto a categorie della pittura medievale. Il romanzo/racconto di Bertante è dunque un trittico, le cui pale laterali sono rappresentate da due racconti che narrano di vicende terrene del protagonista Alessandro Slaviero (un colloquio di lavoro e una giornata di «sega» da scuola), mentre quella centrale è una sorta di narrazione sub specie aeternitatis.
In questo luogo fuori dal tempo e dello spazio sopra una collina che domina una pianura sterminata il protagonista trascrivere le ultime parole di Napoleone, che sono il resoconto della battaglia finale, non una battaglia qualsiasi ma la battaglia, dove le forze dell’occidente si opporranno disperatamente alla magnifica orda che sta arrivando. Le pagine sono dotate di una grande forza lirica e suggestiva con cui si descrive l’avvicinarsi, sempre avvertito come prossimo e sempre ritardato, dell’orda che travolgerà tutto e tutti. La tensione cresce, ci si rende conto tramite le parole allucinate di Napoleone, riportate da Alessandro Slaviero, che il destino è segnato.
«Il destino di chi?» viene da chiedersi. Le parole pronunciate possono essere lette come una riflessione in cui si racconta la scomparsa di ciò che è stato Occidente, ma anche su come la fine dell’Occidente sia la, o il, fine di ognuno di noi. Per questo è importante non perdere di vista le pale laterali del trittico, che raccontano la fine di un tempo, di una società e la fine di un modo di essere, narrando il progressivo sprofondare di Alessandro Slaviero nei suoi fantasmi.
È interessante notare come La magnifica orda operi uno slittamento che accompagna il lettore dal dato di fatto (i barbari che arrivano e tutto travolgono) all’inizio della vicenda. L’autore mette in scena una sorta di anabasi dell’animo umano che non è una discesa solitaria, ma avviene sempre per un dialogo con l’altro. L’altro, l’alterità totale, è rappresentato dall’orda e dai suoi profeti, come il barbone/filosofo del racconto che chiude il libro, ma è il primo nell’ordine della narrazione, poiché ci racconta di Alessandro ancora studente. Il barbone/filosofo è il profeta, vestito di stracci, deriso dal potere costituito (i vigili urbani), che annuncia l’arrivo di qualcosa a cui nessuno crede. Non è un profeta di sventura, ma il nunzio di una novità che investirà gli uomini: l’orda, che nel libro non ha mai una connotazione totalmente negativa; o meglio che non ha una connotazione. È un fatto e, in quanto fatto, non ha bisogno di perché che lo giustifichino.
La scrittura di Bertante quindi scava nella psiche del ragazzo turbato da queste visioni e giunge alla rivelazione finale. Ovvero che non esiste un perché, che questo nostro mondo, l’universo stesso, non ha una causa e uno scopo; finisce e si sostituisce con un altro: arriva la magnifica orda e lo cancella, senza una specifica ragione. E proprio la fine rende struggente la bellezza di ciò che va perduto. Un libro importante anche per lo scrittore; La magnifica orda segna, infatti, uno scatto in avanti, rispetto alle prove precedenti, per quanto riguarda lo stile, più centrato e meno dispersivo, forse anche grazie alla concentrazione e alla brevitas del testo.
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/07/alessandro-bertante-la-fine-delloccidente-in-forma-di-trittico/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.