007 e il miracolo di Re Mida
Non era impresa facile per Ian Fleming e le avventure di James Bond, tuttavia traghettate dagli inferi di una vetusta edizione Garzanti (brossure grigie senza un’ombra d’apparato, libretti da leggere in treno, cui aveva dedicato uno dei suoi saggi giovanili più fiammanti Umberto Eco, «Il superuomo di massa») all’attuale paradiso della civiltà tipografica: per il primo romanzo della serie di OO7, «Casino Royale» (collana Fabula, pp. 227, euro 16), Adelphi non esita infatti a mobilitare l’artiglieria della Casa, cioè un anglista del valore di Matteo Codignola e un traduttore (nonché poeta) quale Massimo Bocchiola. Benissimo: a leggere i giornali, è probabile che Re Mida abbia fatto di nuovo il miracolo e che dunque avremo un altro Chandler, il quale bontà sua amava Ian Fleming. È però sorprendente che nessuno abbia messo in evidenza sui medesimi giornali (dove proprio non mancano veri o presunti amici degli ebrei) il fatto che Fleming fosse pregno di immaginario antisemita e, ad esempio, l’idea della «Spectre» (l’organizzazione planetaria contro cui combatte OO7) l’avesse stralciata dai Protocolli dei Savi di Sion, un classico di cui Fleming dev’essere stato un attento esegeta. L’omissione si deve, evidentemente, all’ennesimo miracolo di Re Mida.
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