Vota il terzo paese del mondo Prove di democrazia su Facebook

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Cosa spinge la creatura di Mark Zuckerberg a lanciarsi in questa sfida dal risultato incerto? Il senso di responsabilità , certo. Il gusto del futuro, ovvio. Ma anche la paura. La paura di sentirsi dire: ehi, stai vendendo ciò che non possiedi!
Andiamo con ordine. Facebook, prima di continuare a scavare nella nostra privacy in cerca delle preziose informazioni care ai pubblicitari, ha deciso d’interpellare gli iscritti, che di quelle informazioni sono i titolari. Le novità  riguardano nuove sezioni, diverse impostazioni delle pagine e strumenti per gli amministratori. Si parla della possibilità  di utilizzare le informazioni anche al di fuori della piattaforma. Si discute (di nuovo) della «Timeline», per decidere se mantenere il nuovo aspetto del social network o tornare alla vecchia formula. Si discute, in sostanza, della Data Use Policy (per dirla in milanese moderno, tuttora in uso anche qui negli Stati Uniti).
Sarà  necessario un quorum: se nella Facebook Election Week (come l’ha definita Mashable.com) voterà  più del 30% degli iscritti attivi (quei 900 milioni che equivarrebbero al terzo Paese del mondo, dopo Cina e India), il risultato sarà  vincolante; se voterà  meno del 30%, l’opinione verrà  considerata consultiva. In pratica dovranno esprimersi 270 milioni di persone – come la popolazione degli Stati Uniti, dove però molti non votano (nelle elezioni vere, e in novembre ne avremo un’altra prova).
Perché Facebook corre questo rischio? Perché la società  è a un bivio: sono i mercati a segnalarglielo. Dopo l’enfatica quotazione in borsa, infatti, il titolo ha cominciato a scivolare inesorabilmente. Un po’ di faciloneria dell’advisor Morgan Stanley, che ha scelto un prezzo di collocazione troppo alto? Fb non è più «cool», come sostiene qualcuno? Il social network non è adatto quanto Twitter a essere utilizzato sui nuovi dispositivi mobili, iPhone in testa? 
Anche questo, forse. Ma il motivo principale l’ha riassunto magistralmente Christopher Caldwell del Weekly Standard in un op-ed sul Financial Times, sabato. I regolatori potrebbero decidere: Facebook sta vendendo qualcosa che non gli appartiene. I mercati lo hanno capito. E il social network di Zuckerberg — nato otto anni fa a pochi chilometri da dove scrivo questa opinione, a Harvard, oltre il fiume — non può ignorare né gli utenti né i mercati.
Si vota per una settimana sull’indirizzo http://on.fb.me/JXVN6J. Un grande esperimento di democrazia: non c’è dubbio che i nostri nipoti — quando tutta la popolazione sarà  online — voteranno così ogni volta, per scegliere qualsiasi cosa (dal sindaco al parlamento). Quella di Facebook, per quanto vasta e lungimirante, è solo una consultazione interna. Ma un consiglio di voto si può dare. 
Votate no. 
La privacy non si vende. Figuriamoci se si regala.


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