Volare sulle ali del sole

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Per la prima volta un aereo a energia solare ha effettuato un volo intercontinentale e unito idealmente Africa e Europa. Alle 5:22 di ieri mattina il Solar Impulse con alla cloche Bertrand Piccard – l’ideatore di questo progetto visionario – è partito dall’aeroporto di Madrid Barajas, e dopo circa 20 ore è atterrato all’aeroporto di Rabat. Il sogno di spostarsi su grandi distanze senza produrre inquinamento è un po’ più vicino. 
Ci vorranno anni prima di poter girare il mondo senza “sporcare”. Ma la tecnologia che sta dietro al Solar Impulse – primo prototipo di aereo “no fuel” – è importante non soltanto per chi vuole volare: si tratta di sperimentazioni e avanzamenti tecnologici che verranno riutilizzati per impiegare l’energia solare in tutti i settori, dalla produzione all’illuminazione. Insomma, ieri è stato scritto un pezzo di futuro.
Il Solar Impulse non si alzava in volo per la prima volta. Ha già  sfoderato le sue immense ali (grandi quanto quelle di un Airbus A340, cioè 34 metri, ma ricoperte di microcelle per catturare l’energia del sole) nella notte del 7 e 8 luglio 2010. In quell’occasione volò per 26 ore: è stato il primo record del gabbiano meccanico, che pesa poco più di un’utilitaria. Piccard e Boschberg dimostrarono che l’aereo poteva volare anche solo grazie alle batterie. 
Ma le cose da capire sul Solar sono ancora moltissime, e ieri gli occhi del team di 70 specialisti che dal 2001 lavora alla costruzione del prototipo erano puntati sui venti e sull’atterraggio, che mentre scriviamo è previsto per le dieci di sera all’aeroporto di Rabat. 
La telefonata con Piccard
Il tutto enfatizzato da un’organizzazione della comunicazione che è una specie di macchina da guerra: un sito internet potentissimo, la possibilità  di seguire in live il volo, un uso mirato dei social network, e la possibilità  per noi giornalisti di “entrare nella storia” intervistando Bertrand Piccard in diretta, mentre è alla guida del prototipo (vedi l’intervista sul sito de ilmanifesto.it, sezione ambiente). 
Il motivo è chiaro: il Solar Impulse per continuare a vivere e per moltiplicarsi ha bisogno di partner commerciali. E se in questa lunga marcia cominciata ormai dieci anni fa la premiata ditta “Piccard Boschberg” è riuscita a mettere insieme qualcosa come 80 partner, e un centinaio di sostenitori, è evidente che si può fare di più. Purtroppo però quasi nessuna istituzione pubblica è impegnata nel progetto, fatta eccezione per poche mosche bianche, come il Politecnico di Losanna e l’Agenzia spaziale europea. E ora il Marocco, impegnato in un grande progetto di produzione di energia solare. Per il resto sono tre grandi aziende private e la Deutsche Bank a permettere al Solar di spiegare le ali. I moderni magnati si chiamano Solvay , Omega e Schindler. Svizzeri e tedeschi. Il volo di ieri vuole, senza dubbio, allargare ancora di più il pubblico interessato al progetto. E Piccard lo dice nell’intervista “aerea” al manifesto: «L’Italia non è ancora coinvolta, ma speriamo lo sia presto. Anche la popolazione italiana può contribuire: sostenendo il progetto o anche solo parlandone».
Quando Piccard Sr veniva in Italia
Insomma, nessun industriale italiano ha pensato di dare una mano a mettere le ali all’energia solare. E se adesso la crisi morde, in questi dieci anni gli utili ci sono stati. E’ vero che l’Italia non è l’unico paese a mancare all’appello, ma è un’assenza significativa, che sembra fotografare la decadenza del nostro paese e del nostro capitalismo. 
Quaranta anni fa il padre di Bertrand, Jacques Piccard, dalla Svizzera venne proprio in Italia a cercare i finanziamenti per un suo progetto futuristico. L’inventore del Solar, infatti, è il rampollo di una famiglia di esploratori. Suo padre ideò il batiscafo che ha toccato il punto più profondo della terra, alla Fossa delle Marianne, il 23 gennaio 1960. Quel batiscafo si chiamava “Trieste”, in onore della città  che più di tutti aveva creduto nell’impresa. Ce la racconta Pietro Spirito, scrittore e giornalista de Il Piccolo, che si è a lungo occupato della vicenda e che ha pubblicato nel ’94 un libro molto interessante sulla “Trieste a stelle e a strisce” (pietrospirito.it) : «Trieste era divisa a metà , tra gli angloamericani e gli jugoslavi. Era il periodo del ‘protettorato’, un esperimento inedito e rimosso dalla memoria collettiva: i triestini la ricordano perlopiù come un’occupazione militare, la tensione era altissima, ma era anche un contesto vivace perché gli americani spendevano fiumi di dollari per convincere tutti che il modello occidentale fosse il migliore». Fu così che per un’amica di Jacques Piccard, Yolanda Versich, non fu difficile mettere insieme i soldi per l’impresa: «Ma trovò finanziamenti non solo a Trieste – dice Spirito- L’intera Italia post bellica era interessata a far parte del progetto». Il batiscafo fu poi acquistato dalla marina militare Usa, che ha sempre avuto un ruolo di primo piano nell’impresa. «Il progetto di Piccard però non nasceva con scopi militari, ma con il gusto dell’esplorazione: andare dove nessun uomo era mai stato – spiega Spirito – Oggi è più difficile trovare finanziamenti per questo tipo di iniziative, a meno che non sia evidente il ritorno in termini economici. Chi può farlo sono i miliardari, come il regista James Cameron, che ha recentemente bissato l’impresa di Piccard padre». E forse volare senza carburante è un sogno di molti, ma non di tutti.


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