Viaggio in seconda classe

by Editore | 22 Giugno 2012 6:34

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Sul treno che va a Roma, c’è già  un amico e coetaneo di mio fratello, Alberto Catapano. Un altro bel ragazzo scapestrato, anche lui da tre anni a Roma, dove ha intrecciato un flirt con una giovanissima attrice di romanzi a fumetti che si chiama Sophia Loren. A Roma resterà  per altri sei anni, ben fornito di danaro dalla famiglia, prima di confessare che non ha mai dato un solo esame alla facoltà  di Farmacia. L’incontro inatteso accende l’allegria dei due amici, che hanno ambedue ventidue anni e sono accaniti giocatori di poker e chemin de fer, instancabili frequentatori di case di tolleranza, ormai da tempo nelle grinfie dei piຠloschi strozzini di Taranto. Sistemiamo le valigie sulle reticelle, ancora un saluto dal finestrino a mia madre, e mentre Catapano già  tira fuori le carte napoletane spronando mio fratello a una partita di scopa, il treno si muove con un fischio lungo verso le coste del Mar Grande. Sono le nove di sera, l’arrivo a Roma è previsto per le otto del mattino seguente. Gli scompartimenti del nostro vagone di seconda classe sono tutti vuoti, meno uno che ha la porta chiusa e le tende tirate. L’attesa è che passeremo
molto tempo a giocare a carte, a chiacchierare, a mangiare i panini che ci hanno preparato a casa per il viaggio, e quindi dormiremo distesi sui divani a righe beige e nere della seconda classe: io e mio fratello anche meglio del nostro amico, perché mia madre ci ha comprato alla stazione due “cuscini da viaggio”.
Quando il treno si ferma per la prima volta a Metaponto, noi siamo nel corridoio a fumare. A quel
punto lo scompartimento con le tende tirate si apre, e ne escono due belle ragazze. Un attimo, ed ecco uno scoppio di esclamazioni festose da parte di mio fratello e del suo amico, mentre le ragazze appaiono sorprese e divertite. Una di loro si fa sulla porta dello scompartimento da dove erano appena uscite, e chiama una terza
ragazza che a vedere mio fratello quasi si piega in due dal ridere e poi gli butta le braccia al collo. Io ci metto qualche secondo a riconoscerle. Sono le pensionanti della migliore casa di tolleranza tarantina. E adesso – essendo rimaste a Taranto due settimane – si stanno trasferendo a Roma, nel casino di via Fontanella Borghese. Quei trasferimenti si chiamavano “cambio della quindicina”, e servivano a offrire stimoli sempre nuovi agli habitués delle case chiuse: un nome esotico (Frida, Carmen, Luana), un volto ancora sconosciuto, un nuovo corpo seminudo nei veli con cui le ragazze comparivano nei “salotti” dove sedevano i clienti.
Ma se io non ho fornicato con nessuna di loro, Luigi e il suo amico Catapano sono “saliti in camera”, come si diceva, molte volte con tutte e tre. Mio fratello ha bazzicato specialmente Nadia, la ragazza che lo ha abbracciato, una rossa alta e formosa stretta nel tailleur marrone scuro, e un giorno l’ha anche portata a pranzo in un ristorante sul mare. Quasi un fidanzamento, insomma, e infatti si capisce subito che passeranno la notte insieme come i personaggi del piຠcelebre romanzo di Maurice Dekobra,
La madonna degli sleeping cars,
lettura cruciale degli adolescenti di sessant’anni fa.
Intanto è ora di mangiare. Caviamo dalle carte oleate i nostri panini, Catapano tira fuori il suo pollo arrosto con patate, le ragazze hanno involti con polpette, melanzane fritte, superbe mozzarelle di Gioia del Colle. Nadia ha anche una bottiglia di Vecchia Romagna Buton, da cui beviamo a turno. La cena e il brandy scaldano l’incontro, e l’impressione
è che anche Catapano trascorrerà  una notte movimentata. Infatti è già  abbracciato con Alida, la sola
brunette
tra le tre ragazze, che il Vecchia Romagna ha reso allegrissima.
Quanto a me, ho già  capito che con la terza, Silvana, c’è poco da fare. La ragazza è carina, ma sotto i capelli biondastri ha un viso smorto, malinconico, e lo sguardo inquieto. Parla e mangia poco, fuma ininterrottamente le sue Chesterfield. Sembra assorta in un unico e penoso pensiero, e infatti si vede bene che le sue compagne cercano di confortarla e
farle tornare il buon umore. Ma invano, perché anzi l’allegria del gruppo sembra piຠspazientirla che acquietarla.
A Potenza il treno fa una lunga sosta, e là­ posso vedere meglio che Silvana, cosà­ come aveva fatto alle fermate di Metaponto, Rotondella e Sibari, s’accosta ai finestrini cercando di vedere nella poca
luce dei lampioni posti lungo i binari, chi stia salendo sul treno. Quasi schiacciato contro il finestrino mentre guarda nella notte i viaggiatori che s’imbarcano a Potenza – tutti in terza classe e carichi di ceste e cestini – il suo volto appare anche piຠteso. Quanto a me, comincio a capire che la ragazza è impaurita. Se prende una sigaretta dal pacchetto, la sua mano si muove incerta, quasi tremante. Quando, partito il treno, si va a sedere nel suo scompartimento (ormai vuoto, perché le sue compagne sono in due scompartimenti diversi, Nadia con
mio fratello e Alida con il giovane Catapano) vi resta pochi minuti e poi torna nel corridoio. Quando rientra nello scompartimento, vedo che beve dalla bottiglia di brandy il poco che v’era rimasto, e subito accende l’ennesima Chesterfield.
Intanto il treno procede nella notte tra Basilicata e Calabria, e io vado a dormire. Spengo la luce (resta acceso il fioco, indimenticabile lume azzurro delle carrozze di Prima e Seconda), mi stendo su un divano col mio “cuscino da viaggio” e m’addormento. Ma non per molto, perché Silvana,
toccandomi la spalla, mi risveglia. Ha finito le sigarette, posso dargliene qualcuna? Le prendo un pacchetto di Players dalla stecca che ho in una delle valigie. Adesso è seduta sul divano di fronte al mio, e le è venuta voglia
di parlare. È nata in provincia di Trento, famiglia contadina, scuole elementari. Ma ha fatto un figlio con un uomo sposato, dice che «per la vergogna suo padre e i fratelli camminavano rasente ai muri», e cosà­, dopo aver messo il bambino al brefotrofio, ha deciso di lasciare il paese. Qualche tentativo di trovare un lavoro a Padova e a Verona, qualche amante; poi, racconta, «quattro anni fa ho cominciato a fare la vita».
Forse continuerebbe a parlare per tutta la notte: ma mi si chiudono gli occhi dal sonno, Silvana se ne accorge e torna al suo posto. Quando mi ridesto, dal finestrino entrano le luci dell’alba.

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