Vaticano, la «sindrome italiana» si scarica sul futuro Conclave

by Editore | 1 Giugno 2012 13:05

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E col secondo aggettivo si intende accentuare un’atmosfera di intrigo e di conflitto permanente, tipici del nostro Paese. L’analisi ormai va oltre la sorte del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, o lo scontro fra lui e la Cei. Esula dalla divisione opinabile tra «riformatori» e «conservatori». Ridimensiona perfino il siluramento brutale del presidente dello Ior, la «banca vaticana», Ettore Gotti Tedeschi. Sarebbero tutti schemi fuorvianti: quasi depistaggi.
La convinzione è che quanto sta accadendo configuri un’operazione mirata a piegare Benedetto XVI in vista del prossimo Concistoro che designerà  altri cardinali per il Conclave. Ma, proprio perché nate nella pancia del potere curiale, si tratta di rese dei conti che non convincono gli episcopati del resto del mondo; anzi, aumentano le loro diffidenze. L’unico vero effetto che stanno avendo, è di lasciar trasparire la filiera dei potenziali sconfitti: le «eminenze» italiane. Comunque la si osservi, la vicenda dei «corvi» e quella dello Ior, col contorno di veleni che le correda, offrono un’immagine devastante della Chiesa cattolica peninsulare. I vescovi, il segretario di Stato, i cospiratori che cercano di scaricare tutte le colpe su Bertone: sono altrettante vittime di una manovra nella quale prevale l’intrigo e si confondono le responsabilità .
Il Vaticano viene riportato a una dimensione terrena, anzi terragna e profana, nella quale rischia di non salvarsi nessuno. Il silenzio degli episcopati non italiani è quello di chi si è rassegnato a osservare a distanza di sicurezza un’involuzione che non prevede lieto fine; e che verrà  fatta pesare quando si tratterà  di eleggere il successore di Benedetto XVI. E la cautela nelle reazioni dei vescovi italiani riflette una preoccupazione e uno stupore crescenti; ma forse tradisce anche una miscela psicologica nella quale convivono l’insofferenza per il modo di agire di Bertone e insieme la proiezione verso il prossimo Conclave. E quanti non sono ascrivibili a questo o quello schieramento, appaiono schiacciati da quanto accade. Comunque, non hanno la forza né la temerarietà  sufficiente per chiedere un «cessate il fuoco».
Per il momento non sembra che il papa voglia cambiare la sua agenda. Se è vero che sta bene, che rifiuta logiche di cordata, e che sugli scandali della Curia non vuole avallare teoremi, verrebbe da concludere che l’offensiva può continuare ma non produrrà  i risultati sperati da quanti la manovrano. Gli aspiranti «registi» si rivelano apprendisti stregoni, capaci di delegittimare e distruggere gli equilibri esistenti; eppure non sembrano in grado di dare corpo a una soluzione alternativa a quella fragile e contestata che oggi governa la Chiesa cattolica. Il fatto che l’attacco sia arrivato nel cuore dell’«Appartamento», fra le persone più vicine al pontefice, è un salto di livello. L’apparente coinvolgimento del cameriere personale di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, stordisce e insieme costringe a guardare in faccia una realtà  inaspettata.
Drammatizza i contorni dello scandalo. Ma riduce per forza di cose anche le distanze e le differenze di vedute fra Bertone e il segretario di Benedetto XVI, padre Georg Gà¤nswein. Entrambi sono colpiti dalla fuga di notizie riservate e dalla caccia ai responsabili, quantunque in modo e misura diversa. Eppure, se il vero obiettivo dell’offensiva è di condizionare il pontefice, l’impressione è che papa Ratzinger risponderà  ancora una volta confermando la fiducia ai suoi collaboratori: almeno per ora. Uno storico della Chiesa come il ministro Andrea Riccardi ricorda che nel passato, in Vaticano sono successe cose anche più gravi delle attuali. Vero, ma non si respirava come oggi la sensazione che un’epoca stia veramente tramontando; e che la sequenza degli scandali sia non la causa ma la conseguenza di un modello che non regge più. La Chiesa, assicura il cardinale Francesco Coccopalmerio, un giurista, «uscirà  purificata».
Ma certo dovrà  prima liberarsi di quelli che oggi si presentano come «titoli tossici», per assecondare il paragone che vede una Chiesa in crisi morale, speculare a quella economica dell’Italia. Colpisce sentir parlare anche Oltretevere di spread, lo scarto fra titoli di Stato italiani e tedeschi, che da mesi è una sorta di termometro della crisi di credibilità  del governo italiano. Si parla di uno scarto preoccupante fra l’affidabilità  etica che la Chiesa dovrebbe dare, e quella che invece sta mostrando da mesi. «Lo spread morale vaticano è altissimo», si ammette. «Potrebbe fare pensare che la Santa Sede sia vicina al fallimento. Ma l’attacco speculativo si sgonfierà , perché Benedetto XVI sta bene e non si farà  influenzare da chi scommette sul collasso del papato». Per paradosso, l’antidoto dovrebbe essere più facile da trovare rispetto alle difficoltà  di un governo italiano costretto a fronteggiare la speculazione finanziaria internazionale. Se è vero che l’attacco arriva dall’interno della Chiesa, e che ha contorni tutti italiani, in apparenza la soluzione è a portata di mano. A meno che i contrasti non riflettano divisioni più profonde; e uno scadimento del senso di appartenenza alla Chiesa e di culto del segreto, che ne hanno costituito per secoli la forza e il fascino. In questo caso, la «sindrome italiana» e autodistruttiva sarebbe difficile da fermare, nonostante un Papa tedesco. E i finti bersagli finirebbero per produrre danni veri, duraturi: macerie capaci di fare apparire i crolli dei titoli degli Stati «laici» e la crisi delle economie occidentali come una piccola cosa.

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