University presses, un futuro in forse

by Editore | 2 Giugno 2012 14:16

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E quelle che esistono, non sono riuscite, almeno finora, a imporsi nel panorama editoriale del nostro paese. Un dato che, come si ripete spesso (e a ragione), impoverisce il livello della produzione saggistica italiana. Né c’è da aspettarsi che la situazione migliori in futuro, visto che anche negli Stati Uniti si prospettano tempi assai complicati per le university presses, a dispetto della loro lunga storia (la Johns Hopkins University Press, la più longeva, è operante senza soluzione di continuità  dal 1878) e del loro ruolo riconosciuto. 
L’annuncio della imminente chiusura della University of Missouri Press, che interromperà  le pubblicazioni a luglio, dopo oltre cinquant’anni di onorata attività , è stato accolto, per esempio, senza particolari reazioni. «Il fatto – commenta su «The Chronicle of Higher Education» Frank Donoghue, docente di inglese alla Ohio State University – è rilevante in sé. Anche se non si tratta di Harvard o di Chicago, stiamo parlando della casa editrice di una delle più importanti università  pubbliche, che pubblica una trentina di libri l’anno e ospita l’opera completa di Langston Hughes, Mark Twain e Harry Truman». 
Le note più dolorose però arrivano esaminando i motivi che hanno portato l’ateneo a dismettere la sua casa editrice. Il rettore dell’università , Timothy M. Wolfe, ha infatti spiegato che, nonostante il budget complessivo non sia stato tagliato, «è diventato essenziale, per essere buoni gestori dei fondi pubblici, utilizzare queste risorse per raggiungere le priorità  strategiche, ridimensionando quelle attività  che non sono centrali per la nostra missione di base». A quanto pare, insomma, nota Donoghue, una casa editrice non è «centrale» per una università  e, anche se non viene detto esplicitamente, appare probabile che si stia pensando in Missouri – come è accaduto di recente in altre university presses – di sospendere la pubblicazione di libri per passare all’editoria digitale. 
Purtroppo, sottolinea Donoghue, citando le profetiche dichiarazioni rilasciate quasi dieci anni fa da Jennifer Crewe, direttrice editoriale alla Columbia University Press, il digitale per le university presses (e forse non solo per loro) non è la soluzione di tutti i mali, anzi. Le esperienze condotte finora dimostrano infatti che, contrariamente a quanto si può immaginare, l’abbandono della carta non coincide con un risparmio economico: a fronte della mole di lavoro umano e non meccanico – valutazione del libro e dell’autore, richiesta di peer review, promozione e diffusione del testo – che sta alla base di ogni titolo serio e che dunque non è comprimibile, la quantità  di print-on-demand per i titoli pubblicati dalle university presses è di solito troppo esigua per coprire le spese. 
Per questo, l’intervento di Donoghue si chiude con una serie di interrogativi senza risposta: «È dura immaginare le grandi università  senza una loro casa editrice. Ma bisogna porsi alcune domande: forse le varie comunità  intellettuali sono troppo piccole, specialistiche, frazionate? e le monografie pubblicate dalle university presses sono effettivamente troppo costose per essere alla portata dei singoli accademici? dobbiamo insomma dedurre che queste case editrici hanno fatto il loro tempo? Se è così, le conseguenze rischiano di essere catastrofiche».

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