by Sergio Segio | 26 Giugno 2012 16:00
Il futuro dell’euro non dipende dall’Italia. E non dipende neppure dalla Spagna, dal Portogallo, da Cipro. E nemmeno dalla Grecia. Dipende solo dalla Germania, e da nessun altro, e sarà la Germania a decidere se la moneta unica dovrà continuare a vivere, e come. Berlino è oggi il centro nevralgico della crisi. Il ministro delle finanze e la Bundesbank ne sono sicuramente consapevoli, ma la questione è ben lontana dall’essere discussa pubblicamente con la necessaria franchezza. Soltanto la Germania può accollarsi la maggior parte delle spese legate al salvataggio dell’euro. Resta da capire se i tedeschi lo vogliono e per quanto tempo potranno ancora farlo.
Prima dell’ennesimo summit europeo che si prospetta ancora una volta difficile, i responsabili politici e l’opinione pubblica tedesca hanno l’occasione di fare a freddo i loro calcoli: quanto ci costerà ancora il salvataggio dell’euro dal punto di vista economico e politico? E quanto ci costerebbe invece un fallimento, ovvero la disintegrazione della zona euro, a prescindere dalla forma che assumerà ? E in entrambi i casi, quali rischi si concretizzerebbero nei bilanci delle banche e della Bundesbank? Quali sarebbero le ripercussioni di un fallimento per lo status della Germania in Europa? La cancelliera deve continuare a fare l’addomesticatrice d’Europa?
Gli osservatori extra-europei hanno fatto notare che i tedeschi conducevano il dibattito sull’euro da un punto di vista del tutto particolare, quello morale, chiedendosi per esempio con stupore: “Come è possibile che siamo arrivati a pagare affinché i greci vadano in pensione a 45 anni?”. Le domande di questo tipo sono facili da capire, ma per nulla pertinenti: nessun euro tedesco è stato ancora versato nel sistema pensionistico greco. Sarebbe bene, invece, che adesso il dibattito si facesse a un livello economico e costituzionale.
Il governo tedesco deve analizzare ciò che ha il diritto e la capacità di fare per salvare l’euro. Questi limiti sono definiti sia dalla costituzione tedesca sia dalla sua potenza economica e opinione pubblica. I cittadini hanno paura per i propri soldi e percepiscono sempre più spesso come una minaccia i diversi piani di salvataggio dell’euro.
È evidente che la strategia adottata finora da Angela Merkel è fallita su un punto assai importante: dal 2010 la cancelliera ha offerto appena quanto era sufficiente a salvare l’euro per garantirne la sopravvivenza. Ha cercato di guadagnare tempo, con la preoccupazione più che comprensibile di mantenere il controllo, per obbligare i suoi partner alle riforme.
Ma la crisi non è finita, anzi: continua a costare sempre di più e la paura di veder esplodere una nuova crisi finanziaria mondiale ancora peggiore dell’attuale sta crescendo. Il fatto che l’agenzia Moody’s abbia ridotto, talora con grande severità , il rating di quindici banche internazionali è un segnale d’allarme. La battaglia finale dell’euro è in corso da tempo.
Ormai la disgregazione dell’unione monetaria è una possibilità con la quale bisogna fare i conti, nel vero senso della parola. Le sue conseguenze, dall’ottica tedesca, non sarebbero soltanto il nuovo corso dell’euro nordico o del nuovo marco tedesco, a seconda del nome che si deciderà di dare a questa moneta derivata il cui valore balzerebbe a razzo in modo incontrollato: oltre a ciò sarebbe difficile scongiurare una depressione mondiale e oggi non si può che fare congetture sul futuro dell’Ue nel suo insieme. Alcuni forse auspicano una fine tremenda per l’euro in questi giorni, ma è impossibile non chiedersi se hanno un’idea dell’enorme portata che assumerebbe tale orrore.
Il salvataggio dell’euro costerà molto caro alla Germania in ogni caso, come del resto alla Francia, all’Italia e ad altri paesi ancora. Le proposte dell’Fmi, dei paesi del G-20 e di vari economisti in sostanza si riducono a una medesima cosa: tutti gli stati della zona euro devono condividere almeno in parte i rischi rappresentati dai loro sistemi bancari e dai loro prestiti pubblici. Gli stati risparmiatori, come Germania e Paesi Bassi, dovranno garantire i conti spagnoli, mentre i contribuenti francesi e tedeschi dovranno garantire il budget di Roma, Madrid e altre capitali.
Difendere l’euro in modo attendibile sarebbe impossibile senza una garanzia comune europea, quanto meno limitata, e per questo occorre istituire rapidamente una politica bancaria europea. Perché mai così tante banche europee sono sottocapitalizzate, a differenza delle loro omologhe americane? Perché non esiste un ente europeo che le costringa a dotarsi di riserve sufficienti.
Per l’euro, i tedeschi possono dunque scegliere tra il male e il peggio: devono decidersi a scegliere il male, e farlo rapidamente.
Traduzione di Anna Bissanti
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