Trent’anni di riforme strutturali imposte con la violenza

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Gli omicidi senza fine, le sparizioni di persone, la disoccupazione, i femminicidi, le migliaia di case abbandonate, le decine di migliaia di aziende chiuse, le centinaia di migliaia di disoccupati rendono onnipresente il surriscaldamento sociale: un tessuto sociale lacerato, disuguale, ribollente di disuguaglianze, scontri, competizioni per le minime cose, soprusi dei potenti sui poveri, disperazione. 
Non si poteva scegliere una città  migliore di Ciudad Juà¡rez come sede, fra il 27 e il 29 maggio, della prima udienza del Tribunale Permanente dei Popoli. Perché questa città  alla frontiera con gli Stati uniti, che è stata per molti anni la punta di lancia dell’integrazione del paese al sistema mondiale del libero commercio e alla globalizzazione dei processi lavorativi, produttivi e della riproduzione della vita quotidiana, ora è l’esempio vivo – o morto – della devastazione. 
Chi si può accusare? Lo stato messicano, nei suoi tre livelli di governo – municipale, statale e federale – e nei suoi tre poteri, con tutte le sue istituzioni e articolazioni. Il sistema politico di leggi, partiti, processi. Le istanze parastatali, come i sindacati che non rappresentano i loro iscritti e si sottomettono al governo. I padroni dello stato: il blocco egemonico della globalizzazione composto dal governo degli Stati uniti, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e i grandi poteri economici transnazionali e nazionali. I grandi poteri mediatici e i loro alleati di sempre. 
Di che cosa sono accusati? Di avere imposto alla società  messicana, con tutta la comunità  di esseri viventi, un modelo economico che ha generato una grande devastazione e innumerevoli violenze. La novità  di questo tribunale, fondato negli anni ’70 dal socialista italiano Lelio Basso, è che, a differenza dei casi del Vietnam e del Sudamerica, per esempio, non mette al centro un’aggressione militare o poliziesca contro la popolazione. In questo caso, si prende in esame l’insieme di elementi che compongono le politiche di aggiustamento strutturale, i trattati commerciali internazionali, le diverse forme di «guerra sporca» contro la popolazione e gli impatti sociali che hanno ampliato la loro perversa incidenza. Per la prima volta si analizzano le politiche economiche, in apparenza così tecniche e neutre, nei fatti generatrici di violenza e distruzione. Perché, sebbene di questi ultimi trent’anni solo nei sei più recenti c’è stata una guerra non dichiarata, con sparatorie, omicidi e desaparecidos, i 24 anni precedenti non sono stati meno letali: in nome degli aggiustamenti e delle riforme strutturali sono stati espulsi dai loro luoghi di residenza vari milioni di persone, l’immensa maggioranza appartenenti agli strati più umili, e sono state chiuse migliaia di attività  che generavano lavoro; sono stati compressi i salari e le prestazioni dei lavoratori; sono stati fatti sparire interi rami produttivi; sono stati disboscati migliaia di ettari di foreste e inquinati migliaia di chilometri di acque e suoli; non è stata protetta la vita delle persone, la convivenza delle famiglie; intere comunità  sono state distrutte, i diritti economici, sociali, culturali e ambientali conculcati. 
Chi sono le vittime? La società  messicana in generale, nella maggioranza delle sue classi sociali, soprattutto i gruppi più vulnerabili: donne, giovani, bambini e bambine, anziani, popoli indigeni, persone con handicap. I settori produttivi più orientati al mercato interno: agricoltori, piccole e medie imprese industriali, piccoli esercizi commerciali, negozi di alimentari, debitori della banca. Tutti i settori che sono stati criminalizzati per reprimere la protesta sociale: giovani, dissidenti, comunità  che difendono le loro terre o le risorse naturali. 
Tutto questo è stato fatto con premeditazione: le politiche di aggiustamento e di libero commercio sono state disegnate con cura dalle agenzie finanziarie internazionali – il «Consenso di Washington» – e sono state elaborate in Messico sotto forma di piani governativi, come il Piano Immediato di Riordinamento Economico del 1982 o i piani sessennali di sviluppo dal 1983 al 2007. Il Trattato di libero commercio del Nordamerica (Nafta) tra Canada, Usa e Messico fu discusso in maniera verticistica nei minimi particolari fra il 1990 e il 1994. La controriforma agraria è stata fatta anche con la maggiore cura fra il 1991 e il 1992. In nessun caso si è tenuto conto delle critiche, suggerimenti o proposte di accademici e di diversi settori economici che indicavano i pericoli e gli svantaggi che sarebbero derivati alla nazione da quelle politiche e quei trattati. Numerosi movimenti sociali sono emersi per impugnarli: i più rilevanti sono l’insurrezione dell’Ezln lo stesso giorno dell’entrata in vigore del Nafta, le azioni della Red Mexicana de Accià³n frente al Libre Comercio o i movimenti contadini come El campo no aguanta mà¡s o Sin maà­z no hay paà­s. Niente e nessuno è stato ascoltato. 
Quelle politiche furono imposte con la forza e proditoriamente: tutto l’apparato repressivo dello stato è stato impiegato in modo autoritario per schiacciare ogni dissidenza. Tutto l’apparato ideologico dello stato e del duopolio televisivo ha silenziato e screditato qualsiasi critica al modello economico neoliberista con la complicità  di attori politici come il Pri e il Pan. 
Il Tribunale Russell, predecessore del Tribunale Permanente dei Popoli, riuscì a imprimere nella coscienza collettiva dell’umanità  le condanne alla guerra genocida del Vietnam, esemplificata dall’uso del napalm contro esseri umani, o l’aggressione multiforme contro le persone e le istituzioni democratiche perpetrata dalle dittature sudamericane. Oggi, in Messico, abbiamo la grande opportunità  che la guerra intrapresa contro il popolo da chi ha imposto le riforme strutturali, il libero commercio e la repressione sia condannata da un’istanza simbolica, di coscienza e della massima autorità  morale come il Tribunale Permanente dei Popoli.


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