by Editore | 11 Giugno 2012 7:50
ROMA — Accusato dai media di “nascondersi” lasciando il ministro de Guindos solo a spiegare la crisi davanti al mondo, il premier spagnolo Mariano Rajoy alla fine compare e rassicura. I 100 miliardi messi a disposizione dalla Ue per ricapitalizzare le banche iberiche malate, non sono un salvataggio ma una “linea di credito”. Si è trattato di «decisioni difficili ma imprescindibili», prese per sbloccare una realtà che «era e resta delicata ». In ogni caso lui se ne va in Polonia a vedere la nazionale di calcio perché ormai la «situazione è risolta».
Risolta? Per saperlo non bisognerà solo vedere come reagiranno i mercati, oggi, alla riapertura. Bisognerà anche capire dove portano i febbrili colloqui in corso tra le principali autorità politiche e tecniche della Ue — ovvero i presidenti Van Rompuy e Barroso, il responsabile della Bce Draghi e quello dell’Eurogruppo Juncker — che secondo indiscrezioni tedesche starebbero in queste ore ponendo le prime pietre per l’unità politica della Ue, dopo l’apertura del Cancelliere Angela Merkel. Non è un caso che il G7 senta il bisogno, in un comunicato, di definire il piano di aiuti a Madrid,
realizzato con il supporto di tutti «un importante progresso verso una più rilevante unione finanziaria e fiscale Ue»: Obama si è speso moltissimo per la causa europea. Si muove anche la Germania, con il ministro Schaeuble: «Le banche spagnole non sono un pericolo per l’euro: non c’è il rischio di un contagio».
E dunque, come rivela
Spiegel
online, è in preparazione un progetto per una vera Fiskalunion, un’unione di bilancio, da discutere al prossimo vertice Ue di fine mese. I quattro presidenti sono già al lavoro. La grande riforma dovrebbe funzionare così: i governi nazionali dell’eurozona avranno sovranità solo sulla liquidità coperta dalle loro entrate (tributarie e altro), ma per ogni nuovo disavanzo dovranno rivolgersi al «gruppo dei ministri delle Finanze » che avrà i poteri decisionali irrevocabili su ogni richiesta di spesa dei paesi euro. Questo “gruppo” costituirà così un embrione di autorità delle Finanze o ministero delle Finanze europeo. Potrà in seguito emettere titoli sovrani europei per finanziare i debiti, qualcosa come gli eurobond. Avrà anche un presidente, che potrebbe alla fine divenire un ministro delle Finanze Ue. Dovrà rispondere a un’istituzione formata da rappresentanti dei parlamenti nazionali. Si andrà così verso una messa in comune della responsabilità sui
nuovi debiti, l’idea finora rifiutata da Berlino. Agli Stati resterebbe responsabilità esclusiva sul pregresso. Su questo sfondo, per la prima volta il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, un falco, appoggia di fatto le colombe: attenzione, tedeschi, dichiara alla
Welt am Sonntag,
un ritorno al marco avrebbe costi insopportabili — ben 2000 miliardi — metterebbe
in ginocchio la Germania.
Molte cose si stanno dunque muovendo, tra Berlino, Bruxelles e Francoforte. Tra l’altro ambienti governativi tedeschi descrivono il ruolo di Draghi come «sempre più importante». Il suo pragmatismo «influenza molto più di prima il processo decisionale» di Berlino. Le diplomazie europee lavorano, senza mai dimenticare
l’appuntamento elettorale in Grecia. A una settimana dal voto, il cui esito pesa come un macigno sul futuro dell’euro, il premier Mario Monti incontra oggi il leader socialista Venizelos, Il suo auspicio è che gli elettori confermino la loro vocazione europeista e che quindi anche questo tassello vada al suo posto.
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