Scrittori a Palermo, una nuova stagione
Nel primo fine settimana di giugno, quando una primavera fino a quel momento insolitamente riluttante rompeva gli indugi e la luce gialla di tufo di quei suoi lunghissimi, impareggiabili tramonti la inondava, Palermo poteva perfino atteggiarsi a piccola e intrepida capitale europea e mediterranea della cultura. La lunga, estenuante campagna elettorale si era da poco conclusa, la destra che per dieci anni l’aveva malgovernata aveva appena lasciato il campo, ritirandosi piuttosto malconcia, e centinaia, anzi migliaia di cittadini si disperdevano tra le mura quattrocentesche del complesso dello Steri, dove si svolgeva il festival dell’editoria indipendente «Una Marina di Libri», il cinema Rouge et Noir, dove si inaugurava la settimana di proiezioni del «Sicilia Queer Filmfest», e i vari luoghi che ospitavano seminari e presentazioni del ciclo «Letterature Queer» curato da Silvia Antosa (di Feticci di Massimo Fusillo e del Porno espanso di Biasin, Zecca e Manina, giusto per citarne un paio).
Due importanti manifestazioni, entrambe alla seconda edizione (se non si tiene conto dell’esordio sperimentale e circoscritto della Marina di Libri di tre anni or sono) che è opportuno nominare e celebrare, dovendo dar conto della letteratura che si fa e si pratica, oggi, a Palermo: sia per la qualità dell’offerta culturale che hanno saputo proporre, ovviando quest’anno allo spiacevole inconveniente della parziale concomitanza consolidando la collaborazione e incrociando alcuni appuntamenti, sia per il fatto di essere nate e cresciute nella più totale autonomia finanziaria e organizzativa, avendo potuto contare solamente sull’apporto di decine di volontari che hanno lavorato a titolo gratuito (un novero che comprendeva studenti universitari appassionati, librai indipendenti, associazioni di artisti e operatori, cineasti, lavoratori della conoscenza e intellettuali altrettanto entusiasti) e sull’appoggio di istituzioni e associazioni culturali autonome (tra gli altri gli istituti culturali francese, tedesco e spagnolo per il Queer, l’Università di Palermo, il consorzio «Piazza Marina e» e due associazioni studentesche per la Marina di Libri). «Sei proprio sicuro che non ci sia nessun simbolo istituzionale da inserire tra i partner sul risvolto del programma del festival?», chiedeva stupito il grafico veneziano ad Alessandro Rais, raffinato e infaticabile direttore artistico del Sicilia Queer.
Non sono solo ragioni attinenti alla cronaca culturale, quelle per le quali vale la pena dare conto dei due festival, dovendo parlare di scrittori e scrittrici palermitane (alcuni dei quali, oltretutto, hanno animato le giornate delle due kermesse, oppure sono stati coinvolti in alcuni degli appuntamenti «preparatori»): c’è una sorta di consonanza misteriosa tra l’azzardo felice, prossimo all’incoscienza, con il quale manifestazioni come queste vengono realizzate, a dispetto di un degrado culturale che fino a pochi anni fa sembrava inesorabile, e l’ostinazione con la quale la ricerca letteraria di qualità , anche a Palermo, riemerge dalla clandestinità nella quale l’avevano relegata le tirature micidiali dell’ormai indigeribile giallo siciliano, di certa mafiologia d’accatto e dell’intramontabile esotismo rassicurante della sicilitudine da bestseller (fatto salvo il caso, davvero unico, di Camilleri).
Per certi versi è quasi una vicenda ciclica, se si pensa che quasi cinquant’anni or sono giovani neoavanguardisti palermitani come Gaetano Testa e Michele Perriera sfornavano antiromanzi spericolatamente sperimentali a margine di quelle riunioni palermitane del Gruppo 63 che si tenevano in concomitanza delle altrettanto straordinarie Settimane internazionali di Nuova Musica. O che proprio all’indomani delle stragi del ’92, dunque al culmine di una stagione mafiosa terrificante, fiorisse una generazione di autori di indubbio talento (quella dei Piazzese e dei Calaciura, degli Alajmo e degli Abbate, dei Conoscenti e delle Monroy) fiancheggiata da riviste indipendenti come «Casba» o come la femminista «Mezzocielo», nonché da piccole esperienze editoriali militanti come quella delle donne della casa editrice La luna.
Oggi, certo, sarebbe quantomeno improvvido lasciare che l’entusiasmo per alcuni importantissimi segnali di rigenerazione culturale e politica, a Palermo, occulti le lacerazioni prodotte su un tessuto culturale eroso da anni di degrado e approssimazione, di «grandi eventi» cialtroneschi e abbandono civile, sfibrato dal consumo letterario di quart’ordine e dalla negligenza di un ceto intellettuale autocentrato e neghittoso che ha creduto di poter attingere a un capitale culturale che credeva inesauribile.
Nondimeno, è il caso di registrare, senza il timore di incorrere nelle prosopopee delle rinascite e dei rinascimenti, molti segnali interessanti. Probabilmente, proprio per le ragioni che inducono a sperare in una nuova stagione propizia per la letteratura che si scrive, si stampa e si pensa a Palermo, piuttosto che procedere in un elenco di nomi che abbia la pretesa di essere esauriente, ha più senso spendere qualche parola per alcuni di quei soggetti che quel tessuto sgranato stanno contribuendo a rigenerare – per editori come :duepunti, per i quali non è un caso che sia appena uscita la più incisiva riflessione corrente sullo stato degli studi umanistici (Future umanità di Yves Citton); come Mesogea, sorretta a Palermo da due intellettuali davvero militanti come Beatrice Agnello e Mario Valentini (della quale va segnalato un romanzo d’esordio che merita attenzione per impegno civile e sperimentazione linguistica: L’estate che sparavano di Giorgio D’Amato); come la stessa Navarra, il cui fondatore Ottavio è il principale ispiratore e organizzatore della summenzionata Marina di Libri; ma anche per librerie indipendenti come Modusvivendi e Garibaldi, che, insieme a poche altre agenzie – la Biblioteca delle Balate, animata da Donatella Natoli e il Circolo dei Lettori Sabir di Giorgio Filippone, giusto per fare altri due esempi – hanno supplito in questi anni alla carenza di biblioteche diffuse e di politiche pubbliche di promozione della lettura e hanno condotto, spesso sobbarcandosi oneri cospicui, una fondamentale campagna a sostegno della piccola e media editoria italiana di qualità .
Se poi fosse proprio necessario farli, alcuni nomi, oltre a quelli ormai affermati di Giorgio Vasta o di Evelina Santangelo, giusto per rimanere tra i quarantenni, valga allora quello di Nino Vetri, le cui peripezie narrative meritano sicuramente attenzione; o quelli di Antonio Pagliaro, romanziere in lusinghiera evoluzione, e di Marco Pomar, umorista malinconico tra Allen e Campanile. Quanto ai poeti, è il caso di tenere d’occhio Luciano Mazziotta, già esordiente per i tipi di Zona: non ha nemmeno trent’anni, ma lascia presagire di avere ancora qualcosa di molto interessante da scrivere, magari per i prossimi decenni. Proprio come – sembra di poter dire – la sua città .
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