Rinnovabili, Bruxelles boccia l’Italia
ROMA – I decreti sulle rinnovabili aumentano i costi della burocrazia, rischiano di bloccare un settore strategico della green economy, penalizzano il Paese nel momento più delicato della crisi rischiando di far schizzare verso l’alto gli indici di disoccupazione. Sono durissimi alcuni dei passaggi della lettera che l’Unione europea ha fatto arrivare sul tavolo del direttore generale dello Sviluppo economico, Leonardo Senni, alfiere dell’intransigenza contro l’energia pulita.
Il problema sollevato dalla lettera inviata dalla direzione generale del commissario all’Energia Guenther Oettinger non riguarda tanto la misura degli incentivi (su un decremento in linea con la veloce diminuzione dei costi di produzione sono tutti d’accordo) né gli obiettivi dichiarati (andare oltre il 20 per cento di rinnovabili) quanto il peso degli oneri burocratici che, mentre si parla di semplificazione, sono stati aggiunti a carico delle rinnovabili, anche dei piccoli impianti che in teoria dovrebbero avere una corsia privilegiata.
«L’obbligo di registrare i progetti con una capacità superiore ai 12 chilowatt per il fotovoltaico e ai 50 chilowatt per altri progetti di tecnologie di produzione di elettricità rinnovabile potrebbe funzionare come un deterrente capace di paralizzare proprio il segmento di mercato di piccola scala che la riforma mira a rendere prioritario», scrive l’Unione europea.
Sono le obiezioni che da molti mesi ambientalisti, sindacati e associazioni di categoria provano ad avanzare ricevendo scarsa attenzione. Ora il monito viene da Bruxelles e si collega direttamente alla crisi economica che stiamo attraversando perché una manovra sbagliata, che mette in discussione decine di migliaia di posti di lavoro, rischia di aggravarla: le nuove norme renderanno «molto difficile, se non impossibile, per i produttori indipendenti accedere al finanziamento dei propri progetti». Dunque l’Unione europea chiede di semplificare le procedure. E nello stesso tempo sollecita l’«adozione tempestiva» dei decreti che hanno un ritardo di 8 mesi.
A poche ore di distanza dalla lettera è arrivata la correzione di tiro dal governo. I suggerimenti della Ue, ha precisato un portavoce del ministero dello Sviluppo economico sono «in linea con le modifiche che i ministeri interessati, in sede di conferenza unificata, stanno valutando di apportare ai decreti». Aggiungendo «si suggeriscono modifiche solo su 3 punti specifici e ci sono congratulazioni per la strategia del governo».
Resta ora da vedere se queste correzioni prenderanno forma domani nel corso della riunione Stato – Regioni che dovrebbe concludere l’iter dei decreti. Le Regioni, preoccupate delle ricadute delle nuove misure sui territori, i sindacati, che temono la crescita della disoccupazione, associazioni di categoria come Aper («Se non si correggono i decreti il comparto delle rinnovabili si ferma») e Anev («per il settore eolico si annuncia la paralisi») e sigle di Confindustria come Anie-Gifi («Il fotovoltaico rischia la bancarotta») chiedono da tempo correttivi. Anche il ministero dell’Ambiente vuole ridurre la burocrazia, mentre lo Sviluppo economico ha rifiutato ogni cambiamento.
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