by Editore | 28 Giugno 2012 7:55
Nella difficile situazione dell’editoria italiana c’è chi si dispera e chi, invece si richiama a una massima di Antoni Gaudà: «L’originalità consiste nel tornare alle origini». Le origini in questo caso si chiamano “Silerchie”, un nome che svetta nella storia dell’editoria italiana come un marchio di raffinata eleganza. È stata la collana del Saggiatore di maggior successo. Era la fine degli anni Cinquanta, primi Sessanta. L’intuizione venne al patron Alberto Mondadori, che, quando nella primavera del 1958 annunciava la nascita della casa editrice a William Faulkner, scriveva che avrebbe fatto anche una piccola collana di narrativa e saggistica con titoli «scelti con criteri di estremo rigore e firmati esclusivamente da autori di primissimo piano». Era appunto le “Silerchie”: volumetti brevi, cartonati, con una realizzazione grafica e copertine colorate innovative per l’epoca. Per non dire poi dei titoli: 104 opere, dalla Lettera sul matrimonio di Thomas Mann allen Coefore di Eschilo, con in mezzo un vero e proprio olimpo letterario – del resto il curatore era quel gentiluomo delle lettere italiane che risponde al nome di Giacomo Debenedetti, che compilava capolavori stringati in poche righe in quel foglietto anonimo che introduceva ogni opera. Oggi a distanza di decenni Luca Formenton, alla guida del Saggiatore, torna alle origini rifondando la fortunata collana pensata dallo zio Alberto.
E sarebbe del tutto naturale se qualcuno si domandasse il significato del nome, “Silerchie”, che già allora stuzzicò la curiosità dei lettori. Nel secondo catalogo del Saggiatore della primavera- estate del 1959 un lettore infatti scriveva, in un linguaggio decisamente da anni Sessanta, all’editore: « Illustre Mondadori, debbo raccontarle una scenetta da telequiz. L’altra sera con un gruppo di amici mi trovavo al solito bar. Sapendomi un tifoso dei libri, alcuni di loro si sono messi a sfruculiarmi sul nome della Biblioteca delle Silerchie. Molti ne conoscevano parecchi volumetti». Ed è così che nel catalogo successivo arriva la risposta dell’editore: «Via delle Silerchie è una strada di campagna che si stacca dalla Nazionale Camaiore-Lucca, si inerpica sulle prime balze delle Alpi Apuane, poi diventa sentiero tra i boschi. Nell’ideare una collana di brevi libri attraenti e spesso illustri come il paesaggio della Versilia
(si passa fin da queste prime tappe per Thomas Mann e Chagall, per Kafka, Alceo, Saffo, Jaspers), mi è parso di invitare il lettore a una poetica passeggiata, come quella che offre la via delle Silerchie, dove il paesaggio varia e si allarga di continuo».
In definitiva, la via delle Silerchie è la strada di campagna dove Alberto Mondadori aveva la sua famosa villa frequentata, all’epoca, da molti intellettuali. E non è per nulla peregrino pensare una collana come a un luogo. Del resto Mondadori e Debenedetti erano portatori di un’idea militante(che forse oggi gli editori dovrebbero riscoprire): la casa editrice è appunto quel luogo dove, oltre che ai libri, si fa cultura. Lo stesso Formenton sostiene che non basta salvare i lettori forti, ma bisogna trovarne di nuovi perché «compito degli editori è quello di creare lettori». E per farlo, allora, manda in libreria le nuove “Silerchie”. I primi quattro volumi di narrativa, in libreria da domani, saranno affidati a due italiani e due stranieri: Tommaso Pincio con Pulp Roma e Alessandro Bertante con La magnifica orda
rappresentano la narrativa italiana, mentre per la straniera ritroviamo due classici come Joyce Carol Oates con Acqua nera
e la svizzera Annemarie Schwarzenberg con Ogni cosa è da lei illuminata.
E c’è da augurarsi che siano profetiche le parole di Alberto Mondadori quando, sempre rispondendo al lettore curioso sul nome delle “Silerchie”, aggiungeva spiegandone l’etimologia: con «Siler,con il diminutivo silercula, rametto di vetrice con cui si facevano bastoncelli magici usati per scacciare le ma-lattie e gli spiriti maligni, si offre un’interpretazione della collezione. Una collana dunque che mette in fuga malanni e malefizi: le confesso che mi rallegra l’idea di aver trovato senza saperlo un nome di così buono augurio per i lettori della Biblioteca delle Silerchie».
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