“Zingaropoli”: Lega Nord e Pdl condannati per discriminazione

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MILANO – Il Tribunale di Milano condanna per discriminazione la Lega Nord e il Pdl per la parola “zingaropoli”, utilizzata da Umberto Bossi e da Silvio Berlusconi durante la campagna elettorale delle scorse elezioni amministrative milanesi. Termine poi finito anche sui manifesti dello schieramento pro Moratti. La sentenza, depositata lo scorso 24 maggio dal giudice Orietta Miccichè, arriva a un anno dal ricorso, contro i due partiti e gli ex leader, dell’associazione antirazzista Naga. Nel testo, in riferimento al termine “zingaropoli”, si sottolinea “la valenza gravemente offensiva e umiliante di tale espressione che ha l’effetto non solo di violare la dignità  dei gruppi etnici sinti e rom, ma altresì di favorire un clima intimidatorio e ostile nei loro confronti”. Il giudice ha stabilito un risarcimento di 3.007 euro, a carico di Lega Nord e Pdl; mentre la rimozione dei manifesti, una delle richieste avanzate dal Naga nel ricorso, non è applicabile, poiché i cartelloni non sono più presenti da diversi mesi.

Il partito di Bossi e Maroni è stato condannato per comportamento discriminatorio per aver affisso i manifesti elettorali con lo slogan: “Milano zingaropoli”. Il Pdl invece per una frase dell’ex leader e allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi che, nel cosiddetto “Appello per Milano” entrato a far parte del programma politico del partito, ha affermato: “Milano non può, alla vigilia dell’Expo 2015, diventare una città  islamica, una zingaropoli piena di campi rom e assediata dagli stranieri a cui la sinistra dà  anche il diritto di voto”.

“Per la prima volta in Italia viene depositato un provvedimento giudiziario che condanna dei partiti politici per discriminazione – dichiara Pietro Massarotto, uno degli avvocati che hanno presentato il ricorso e presidente del Naga – È per noi una vittoria molto importante. Speriamo che questo rappresenti un passo verso l’effettiva tutela delle minoranze nel nostro Paese, ma quello che più speriamo è di non dover mai più intervenire per questo genere di discriminazioni istituzionali”. (Ludovica Scaletti) 

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