“Uscita dalla crisi non breve ripresa possibile solo a fine anno ma bisognerà  tagliare le tasse”

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ROMA – Ridurre le tasse e tagliare le spese. Uscire dalla crisi è possibile ma «il percorso non sarà  breve», ammonisce Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, nelle sue prime Considerazioni finali da quando, sul finire dello scorso anno, ha preso il posto di Mario Draghi, passato alla guida della Bce. «Tirarci fuori dallo stretto passaggio che attraversiamo impone costi a tutti». 
E quanto sia angusta questa strettoia lo testimoniano le stime offerte al gotha dell’economia, riunito a via Nazionale per l’assemblea annuale. Dunque: il 2012 sarà  un anno di recessione, se le cose non peggiorano il Pil scenderà  dell’1,5%. Non solo: il credito ristagna, la produzione industriale cade, la disoccupazione galoppa e quella giovanile raggiunge ormai il 36%. Eppure già  verso la fine dell’anno «una ripresa potrà  affiorare» ma bisogna appunto che si riducano tasse e spese. Visco dà  atto al governo Monti di essersi mosso in maniera «rapida e decisiva» sul versante dei conti pubblici. «Si è però pagato il prezzo di un innalzamento fiscale a livelli ormai non compatibili con una crescita sostenuta». Ammonisce: «L’inasprimento non può che essere temporaneo». Servono anche tagli di spesa oculati, come il governo sta cercando di fare con la spending review: «Se accuratamente identificati e ispirati a criteri di equità  non comprometteranno la crescita». E, naturalmente, bisogna continuare nelle riforme strutturali – dall’istruzione alla giustizia, alla sanità  – che sono ancora «un vasto cantiere». «Uno sforzo finanziario aggiuntivo il paese può chiederlo ai suoi imprenditori, perché rafforzino il capitale delle loro imprese», nel momento in cui si allentano lacci e lacciuoli normativi. 
Ma Visco è convinto che diagnosi e ricette tutte made in Italy possono poco perché i problemi nazionali sono anche europei e dunque in chiave Ue va trovata la loro soluzione. Sul piano pratico, ci vuole «l’avvio immediato di progetti comuni e cofinanziati di investimento». Bisogna anche istituire «un fondo ove trasferire i debiti sovrani che eccedano una soglia uniforme». Ma soprattutto l’Europa deve darsi una unione politica che «ancora non c’è», carenza che alla lunga «rende l’unione monetaria più difficile da sostenere». Non a caso cita l’insegnamento dell’ex compagno di Banca ed ex ministro Padoa-Schioppa secondo cui credere che l’euro sia «l’ultimo passo» è solo «una insidia». 
In una delle pagine più accorate tra le 18 lette dai microfoni di palazzo Koch, Visco ricorda come l’Unione europea, presa nel suo insieme, sia un’area solida e sana, con ben 300 milioni di cittadini e 20 milioni di imprese. Dice anche che i paesi più virtuosi sono «un modello» per gli altri partner. Aggiunge che l’Italia, con l’avvento dell’euro, ha avuto «prezzi stabili e tassi bassi», due precondizioni fondamentali per lo sviluppo ma purtroppo «ne abbiamo profittato poco». Plaude a Draghi. Ecco, in questa Europa così ben posizionata «si avverte la mancanza di fondamentali caratteristiche di una federazioni di stati». Di qui il monito: «Serve un cambio di passo».
Nell’immediato, in particolare «servono manifestazioni convergenti della volontà  irremovibile di preservare la moneta unica». Ci vuole un impegno dei governi per «orientare anche le valutazioni dei mercati». Gli spread, questo indicatore di fiducia che ogni giorno impazza, «non sembrano tener conto di quanto è stato fatto; alimentano ulteriori squilibri». Al dunque, sono essi stessi «un ostacolo alla crescita»: insieme alle difficoltà  di finanziamento all’economia, pesano per l’1% del Pil. Urgono «progressi rapidi nella costituzione di un fondo Ue per la risoluzione delle crisi bancarie». Morale: la società  «non può non confrontarsi» con un mondo cambiato, che non concede rendite di posizione. La politica deve puntare a un rinnovamento profondo che «coltivi la speranza e vada incontro alle aspirazioni dei più giovani».


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