“Tornate pure in fabbrica ma a vostro rischio e pericolo” scoppia il caso liberatorie

by Editore | 6 Giugno 2012 8:17

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CARPI – «Liberatorie» per lavorare, solidarietà  vere ma anche false, speculazioni sui prezzi, contratti stracciati: nel cratere del terremoto non solo storie luminose, ma anche tensioni, equivoci, errori in buona e malafede, sospetti, timori e anche furbizie. 
La denuncia della Cgil 
L’allarme della Cgil arriva alle dieci di mattina: «Abbiamo segnalazioni di lavoratori a cui è stato chiesto, per rientrare in fabbrica, di assumersi personalmente ogni responsabilità  sulla propria sicurezza». Donato Pivanti, segretario della Cgil modenese, riferisce di almeno tre casi di operai a cui le aziende «hanno dato qualcosa da firmare». Esibisce come prova un documento di cui è entrato in possesso: una lettera su carta intestata di una piccola azienda di Carpi, la Forme Physique, che recita: «Ciascun dipendente che ritiene opportuno continuare a svolgere la propria attività  nei locali della ns. azienda, libererà  la proprietà  da qualsiasi responsabilità  penale o civile sottoscrivendo detta liberatoria». La notizia esplode e scatena reazioni indignate di politici e sindacalisti, fino al segretario Cgil Camusso: «Se è così, è una cosa improponibile». È così? In azienda, in effetti, gli operai sono al lavoro da lunedì, praticamente tutti (dieci su tredici). Ma la titolare Paola Zerbini, tempestata da telefonate, spiega, molto scossa: «Non è così, è un fraintendimento, me ne scuso, la lettera c’è, ma non aveva quel significato, poi non è stata fatta firmare a nessuno, e gli operai sono entrati lo stesso». 
Come è nato il pasticcio? Si sa che giovedì 31, due giorni dopo l’ultima forte scossa, il capannone è stato ispezionato da un ingegnere che ne ha certificato l’agibilità , ma il 2 giugno il governo ha poi emanato l’ordinanza 0002 sul rientro nelle fabbriche che cambia le regole, e impone che, per riaprire, i capannoni debbano avere una certificazione antisismica rilasciata dopo una verifica «ai sensi delle norme tecniche vigenti». Che significa? Un edificio come questo, costruito nel 1980, che oggi non si potrebbe più costruire così, può riaprire con una normale perizia statica? Per l’azienda sì, ma forse, nell’incertezza sull’interpretazione, può essere venuta l’idea di cautelarsi con una carta in più, magari solo per «rassicurare il proprietario dei locali, qui siamo in affitto, che siamo tutti informati sullo stato del fabbricato». Un «eccesso di zelo», cerca di ridimensionare il clamore l’avvocato Mattioli, «un testo scritto male, ma che comunque alla fine non è stato imposto a nessuno». Niente ricatti, dicono anche gli operai all’uscita, confermando le smentite dei titolari. «Non abbiamo firmato nulla, nessuna costrizione, anzi abbiamo chiesto noi all’azienda di tornare a lavorare dentro dopo aver visto la perizia», dicono Sandro Poli e Monia Maini, «questa è una famiglia, vogliamo tutti andare avanti». 
Effetti dello spirito, misto di voglia di ricominciare e di paura che le fabbriche perdano gli ordinativi, che si respira ovunque, nei quartieri industriali della pianura terremotata, ma i rischi di questo slancio preoccupano la Cgil: «Anche dopo la scossa del 20 c’era voglia di tornare al lavoro, ma questo non può voler dire rientrare in fabbrica senza tutte le garanzie», insiste Pivanti, che comunque oggi consegnerà  il foglio controverso al procuratore modenese Vito Zincani, e gli chiederà  anche di verificare se le aziende che hanno riaperto in questi giorni abbiano rispettato l’ordinanza del governo: «In caso contrario, i lavoratori non devono poter rientrare neanche se lo vogliono».
La solidarietà  millantata
C’è fame di spazi per riavviare la produzione. Le aziende danneggiate cercano soluzioni alternative. Molte le offerte di ospitalità  da parte di fornitori e perfino di concorrenti, «una solidarietà  entusiasmante», dicono le associazioni di categoria. Ma il timore, sottovoce, è che non tutte le offerte siano disinteressate, che dietro proposte come «sposta le tue macchine da me, ho posto», oppure «mandami i tuoi operai, ti presto le mie macchine», soprattutto quando arrivano da colleghi poco conosciuti, si nasconda uno sgambetto per strappare ordini e clienti. Per questo la Cna di Modena, che ha messo a disposizione su internet una piazza virtuale per favorire questo tipo di scambi, sta anche studiando come dare forma di contratto legale all’inedito matching solidale, che tuteli da brutte sorprese.
Lo sconto imposto
«Speculazioni sul prezzo del latte», denunciano le associazioni del mondo agricolo. I produttori di formaggio Grana e Parmigiano si fanno lo sconto a spese degli allevatori già  messi in ginocchio dal sisma. Ma a ben guardare la situazione è ancora più grave, perché si tratta di una guerra tra terremotati. Sono stati alcuni caseifici privati (una mezza dozzina i casi segnalati) a spedire nei giorni scorsi ai mungitori una lettera di questo tenore: la nostra azienda è danneggiata, quindi vi pagheremo solo un acconto e poi si vedrà . «Mi daranno solo 45 euro al quintale invece dei 66 del contratto firmato a dicembre, in queste condizioni è meglio chiudere la stalla», denuncia un allevatore della bassa reggiana, con una stalla semicrollata e le mucche che, per lo spavento, danno tre quintali di latte in meno al giorno. Cia e Coldiretti insorgono, «comportamento vergognoso», si andrà  in tribunale. E intanto i caseifici, a loro volta, vengono assaliti dagli speculatori: «Mediatori senza scrupoli si presentano nelle aziende offrendo due euro al chilo per le forme di Parmigiano danneggiate». Per tutta risposta, i Consorzi del formaggio più famoso del mondo hanno deciso che le forme rotte saranno vendute fuori dal circuito ordinario, per evitare strani giri.
I prezzi rincarati
Infine, la speculazione più classica in tutte le catastrofi: gli aumenti ingiustificati dei prezzi. Soprattutto quelli degli alloggi di emergenza, tende, camper e roulotte. «Gli ultimi camper disponibili nel modenese sono stati affittati a prezzi da altissima stagione, anche 200 euro al giorno», denuncia Fabio Galli di Codacons, e Renza Barani del Movimento Consumatori conferma: «Ci segnalano tariffe quasi triplicate, da 300 a 860 euro alla settimana». Ma denunce arrivano anche per i generi alimentari: in un paese della zona colpita il pane arriva a 10 euro al chilo, in un altro le braciole a 20. Per fortuna sembrano più casi isolati che un’epidemia, ma le associazioni dei consumatori invitano a denunciare ogni aumento sospetto alle polizie municipali: «Bisogna stroncare la mala pianta sul nascere».

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