by Editore | 3 Giugno 2012 8:47
Era quasi il Settecento; un gentiluomo si era incapricciato di una giovinetta, e, incontrandola, la riaccompagnava in convento: la prendeva sottobraccio, percorrendo lentamente i lati di una grande piazza. Un bel giorno, cominciò a tagliarla di traverso; la fanciulla, mademoiselle Delaunay, scriverà , nelle sue Memorie: «capii che la sua passione si era raffreddata dalla differenza tra la diagonale e i due lati del quadrato della piazza». Dumas mette la frase, che aveva inaugurato sorridendo il razionalismo settecentesco, in bocca a un personaggio del Cavaliere d’Harmental, il primo e fondatore esemplare della favolosa serie dei suoi romanzi storici. Messo in ombra per un secolo e mezzo dal successo travolgente del secondo romanzo, i Tre moschettieri, Il cavaliere d’Harmenthal, uscito a puntate sul “Siècle” dal giugno 1841, e in volume nel 1842, torna a noi grazie all’edizione del grande specialista Claude Schopp, ripresa da Donzelli, nella prima traduzione italiana di Camilla Diez (pagg. 470, euro 28).
Il cavaliere d’Harmenthal inaugura la collaborazione di Alexandre Dumas con Auguste Maquet, geniale “negro” dei suoi capolavori; nel pieno del processo intentatogli dal suo aiutante, all’udienza del 15 novembre 1859 Dumas asserirà che Maquet aveva la forza di un rampicante – ma era lui, Dumas, l’albero: il rigoglio dell’immaginazione era sua (e in effetti, quando Maquet scriveva da solo, accumulò insuccessi). “Eruditissimo”, definivano Dumas gli storici, annettendo i suoi romanzi tra le prove delle loro interpretazioni storiografiche; in effetti, Maquet in primo luogo, e anche Dumas avevano grande scienza delle deliziosissime Memorie del Sei e Settecento, e ne traevano spunti continui. Il cavaliere d’Harmental inizia, come i Tre moschettieri, con un duello: e si basa su un passo delle Memorie secentesche del conte di Bussy-Rabutin, alla ricerca di un terzo per un combattimento; bastava mettersi davanti al Pont-Neuf, il punto più frequentato di Parigi, per trovare in un quarto d’ora qualche gagliardo sconosciuto, disposto a difendere in punta di spada una questione d’onore che ignorava fino a un istante prima. E si sa che Athos, Portos e Aramis appartengono alla storia; nelle memorie vere di d’Artagnan raccolte dal gazzettiere Courtilz de Sandras, d’Artagnan racconta che, per una disputa con degli inglesi a casa di Milady (sì, anche lei personaggio reale), Aramis era stato coinvolto in un duello mentre era a letto con un purgante per un fastidio di stomaco; non si tira indietro per questo, ma, al momento di incrociare le spade, oppresso dagli impulsi del medicamento, aveva deciso di scaricarsi: il grande fetore, attribuito dagli sfidanti alla fifa, li aveva ringalluzziti; ma il verdognolo Aramis aveva fatto presto a infilzarli. Allo stesso modo, tra i comprimari di d’Harmenthal, quasi tutti sono figure storiche; trenta pagine di Dizionario dei personaggi stilato da Schopp ne rendono conto: dalla Delaunay – quella della geometria dei sentimenti – alla Fillon, spia e cortigiana che si adagiava coperta solo dai capelli in una grotta di conchiglie – fantasia rocaille del Reggente; e poi Rions, un capriccio della dissoluta figlia del Reggente (era butterato: “un ascesso” secondo le memorie di Saint-Simon); e ancora Alberoni, giardiniere diventato ministro di Spagna (inviato a fare un’ambasciata al grande generale, duca de Vendà´me, che lo aveva ricevuto su una seggetta, lo aveva conquistato baciandolo sul retro, al grido di «Ah! culo d’angelo!»). Trasferite sulla pagina di Dumas, i personaggi e le vicende acquisiscono una patina grandiosa, vivace e leggendaria; lo scrittore sfuma i tratti realistici e grotteschi, concentra i colori avventurosi, aggiunge in abbondanza il patetico e la passione ottocentesca: la ricetta dei suoi insuperabili successi è già definita.
«La nostra è un’epoca in cui tutti hanno più o meno cospirato», si legge nel romanzo – Dumas in effetti, quando si presentava una rivoluzione, arrivava con il suo fucile da caccia; c’erano imbroglioni che si inventavano rivolte nei Balcani per strappare finanziamenti al suo grande cuore, e nel ’59 si sa che portò in Sicilia a Garibaldi – bisognava pur fare l’Italia! – una goletta carica d’armi. D’Harmental è appunto la storia vera di una “cospirazione da operetta”, ordita nel 1718 da una principessa del sangue nana per cedere la Reggenza di Francia alla cristianissima Spagna di suo cugino Filippo V: col marito, un allampanato e zoppo bastardo del re Sole, primo ministro. Coinvolto nella cospirazione, l’impetuoso giovanotto è travolto da mille avventure, che consentono a Dumas di tratteggiare a rotta di collo il più vivido quadro della vita sregolata della Reggenza, nell’istante in cui la Francia, alleata della mercantile Inghilterra, rischia di inclinare pericolosamente verso le regioni ipercattoliche, e farsi succube della Spagna sonnolenta. La Chartreuse de Parme aveva due anni, e anche qui due giovani si innamorano spiandosi alla finestra; con squisita sapienza dell’amore e delle tattiche narrative, Dumas racconta due volte, a distanza di molti capitoli, la stessa scena, dietro l’una e dietro l’altra finestra: fantasie opposte almanaccate con gli stessi batticuori. Anche un rapimento è raccontato tre volte, con effetti comici irresistibili; e intanto la cospirazione fallisce, e il romanzo approda al lieto fine di un amore, e di una storia di irresistibile felicità .
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