Gomme e benzina il Canto della Strada
Il sole era talmente caldo che Bill propose una sosta; a una stazione di rifornimento si scolarono quattro bottiglie di Coca Cola. Bill fece tappa ai servizi sul retro. Da qui vide un prato e una frangia di arbusti che fumavano nel sole di luglio. Finalmente era partito!… Nuovi prati, nuove strade, nuove colline lo attendevano — e la destinazione era la costa del vecchio New England. Cos’era quella strana sensazione nuova che gli si annidava nel cuore, un’impetuosa e fremente smania di andare avanti e riscoprire i grandi segreti del mondo? Era tornato ragazzo… e forse stava affrontando l’impresa con una certa leggerezza.Tornati sul rovente bordo della strada, dove il catrame esalava la sua nera fragranza, ottennero un passaggio quasi subito. Al volante c’era un fiorista di New York diretto alla sua serra vicino a Portchester, N. Y. Parlava ininterrottamente, un cordiale mercante ebreo di natura umile e spiritosa: «Una coppia di ebrei erranti!» li chiamava, sorridendo con un bagliore scaltro negli occhi azzurri. Li lasciò un miglio oltre la sua destinazione sul confine New York-Connecticut. Bill e Wesley si ritrovarono accanto a un letto roccioso scavato di fianco all’autostrada.
Wesley si tolse la giacca e la appese alla spalla mentre Bill si calcava il cappello sugli occhi. A turno uno si sedeva sulla valigia mentre l’altro si sporgeva sulla parete del
dirupo, mostrando pigramente il pollice. Grandi camion risalivano a fatica la collina, seguiti da una luccicante danza di fumi di benzina. «Dopo l’odore dell’acqua salata», proclamò Wesley strascicando le parole con un filo d’erba in bocca, «il mio preferito è l’odore dell’autostrada». Sputò in silenzio. «Benzina, pneumatici, catrame e arbusti», aggiunse pigramente Bill. «Il canto della strada aperta di Whitman, versione moderna». I due si crogiolarono al sole, senza altre parole, nella quiete improvvisa. Lungo la strada, un camion ingranava la seconda per affrontare la salita. «Ehi», fece Wesley. «Prendi la valigia e seguimi».
Mentre il camion si avvicinava, ormai in prima, Wesley salutò l’autista e fece per correre accanto al bestione arrancante. L’autista, una bandana colorata al collo, rispose al saluto. Wesley strappò la valigia dalla mano di Bill e gridò: «Avanti!». Schizzò fino al camion e saltò sul predelli-
no, scaraventando la valigia nella cabina e tenendo la portiera aperta, in bilico su un piede, per Bill. Quest’ultimo corse dietro al camion reggendosi il cappello;
Wesley gli porse [una] mano mentre
si tuffava nella cabina.
«Whoo!» gridò Bill, togliendosi il cappello. «Un vero scatto alla Doug Fairbanks!». Wesley si infilò dentro accanto a lui e chiuse la portiera. «Ottimo per bruciare un po’ di grassi!» si sganasciò il camionista. «Fa un caldo fottuto, vero?». Le sue risate coprivano il rombo del motore. Rombando e sbandando arrivarono fino a New Haven, scendendo le colline a velocità folle e risalendo con un fischio sempre più forte. Quando l’autista li scaricò nel parco della Yale University, il sole era diventato arancione chiaro. «Abbiate cura di voi!» li avvertì il camionista, coprendo il fragore del cambio e abbandonandoli nella sua tumultuosa scia.
«E adesso?» chiese Everhart. Si trovava-
no su un ampio marciapiede brulicante di persone cariche di acquisti, uomini in maniche di camicia di ritorno dal lavoro, studenti estivi di Yale in giro a bighellonare, strilloni e uomini d’affari. La strada era un groviglio di macchine, autobus e tram sferraglianti. Il Parco era una processione di fannulloni. «Per prima cosa filiamo via di qui», borbottò Wesley, incamminandosi. «Quando si mangia?» «Mangeremo a Hartford», disse Wesley. «Quanti soldi hai detto che avevi?» «Più o meno tre dollari». «Me ne farò prestare altri quando saremo a Boston», brontolò Wesley. «Andiamo».
Presero un tram in State Street e scesero al capolinea. Risalirono la strada per qualche isolato e si misero a fare l’autostop di fronte a un panificio. Dopo quindici minuti con i pollici in fuori, un anziano signore che sembrava un contadino li prese sulla sua vecchia Buick; per tutto il tragitto fino a Meriden, mentre il sole mutava colore in
un fosco arancione ardente e i prati si raffreddavano in un limpido e cupo verde giungla, il contadino li intrattenne con un monologo sui prezzi delle derrate, i braccianti agricoli e il dipartimento dell’agricoltura
americano.
«Fanno soltanto il loro gioco!» si lamentava. «Come si può avere fiducia in un paese che permette a un gruppo di potenti di distruggere l’intera economia agricola per
i propri interessi?» «Si riferisce al Farm Bloc?» domandò Everhart, mentre Wesley, smarrito nei suoi pensieri, teneva lo sguardo fisso sui campi. Il contadino suonò il clacson quattro volte sbraitando quattro parole: «Ci… puoi… giurare… amico!» Quando li lasciò alla periferia di Meriden, l’uomo e Bill stavano entrando nel vivo di una discussione sulla Farm Security Administration e sulla National Farmers Union. «Addio, ragazzi!» gli gridò, agitando una mano callosa. «Siate prudenti, ora!» ripartì sogghignando, salutandoli con il clacson. «Che adorabile vecchietto», commentò Everhart.
Attraversarono una zona priva di traffico e si fermarono di fronte a un chiosco. Grossi olmi si piegavano sopra di loro nella quiete del tramonto, esalando lentamente il calore del giorno. Un cane abbaiò, rompendo il silenzio dell’ora di cena. «Che posticino sonnolento», annuì Everhart
con un flebile sorriso. «Chissà com’è vivere in una cittadina così — digerire la cena stesi sull’amaca davanti al meleto, scacciare le zanzare e addormentarsi con la ninna nanna di un milione di grilli». «Una vita davvero pacifica», sorrise Wesley. «La mia città , Bennington, somigliava molto a questa. Andavo a nuotare nel laghetto di un mulino a meno di mezzo miglio dietro casa », ricordò abbassando la voce, «e quando spuntava la luna, me ne stavo seduto sulla spiaggetta di sabbia tenendo lontane le zanzare con le sigarette…». «Un giorno ci dobbiamo andare», decretò Bill con un allegro
sorriso.
Traduzione Michele Piumini (Da
Il mare è mio fratello
di © John Sampas, The Estate of Stella Kerouac, 2011 per gentile concessione di Luigi Bernabò Associates © 2012 Arnoldo Mondadori Editore Spa)
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