by Editore | 20 Giugno 2012 8:24
ROMA — Nell’aula del Senato va in scena l’esame della riforma per cambiare la Costituzione, riducendo il numero dei parlamentari, superando il bicameralismo perfetto, dando più poteri al capo del governo o, se passasse la proposta del Pdl, introducendo l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Il via libera al riordino dell’architettura istituzionale porterebbe con sé anche la revisione della legge elettorale, sostituendola con un’altra che al momento non è ancora definita, benché circolino alcune ipotesi (dal doppio turno alla francese a un sistema ibrido spagnolo-tedesco sino a una più modesta rivisitazione del Porcellum). E delle riforme si è anche discusso in un vertice notturno nella residenza romana di Silvio Berlusconi assieme alle nomine Rai, al caso Lusi, ai nodi della giustizia e agli altri temi all’ordine del giorno del Pdl.
Il punto più controverso riguarda la forma del governo, sul quale da tempo è sorto un braccio di ferro tra il Pd e il Pdl. Il Popolo della libertà ha infatti presentato una serie di emendamenti al testo licenziato (con i voti favorevoli di Pd, Pdl e Udc) dalla commissione Affari costituzionali per trasformare il regime parlamentare in una repubblica semipresidenziale, del tutto simile a quanto esiste in Francia. «Io dico che ci sono i numeri perché questo testo passi al Senato», sostiene fiducioso uno dei coordinatori del Pdl, Ignazio La Russa, che ieri ha presieduto diverse riunioni sia del gruppo sia con i delegati delle altre forze politiche (Lega Nord, Fli, Coesione nazionale). La Russa è convinto che «ci sarà una condivisione con la Lega sulle riforme». Il semipresidenzialismo alla francese, però, sarà esaminato alla fine, dopo che l’Aula si sarà pronunciata su numero dei parlamenti e superamento del bicameralismo perfetto. I numeri ci sono, ma un’eventuale convergenza del Pdl con i leghisti avrebbe l’effetto, come ricorda Anna Finocchiaro del Pd, di «fare saltare il tavolo delle riforme, presentando emendamenti sul semipresidenzialismo che non possono essere votati con una semplice alzata di mano». Al momento, però, la Lega Nord a tutti i livelli, da Umberto Bossi e via via a Roberto Maroni e al capogruppo a Palazzo Madama, Federico Bricolo, esclude intese al riguardo. «Nessun accordo con il Pdl — dice un Bossi che ha annunciato di non avere pagato l’Imu — perché è stato Berlusconi a scegliere Monti». Ma il ravvicinamento c’è e segue strade ufficiose. E lo si ricava dal dibattito in aula. «Se non trova la compensazione del Senato federale il semipresidenzialismo è un apparato che crolla su se stesso», osserva il leghista Sergio Divina disegnando un impianto istituzionale che abbia al suo interno una certa coerenza, lasciando intendere su cosa avverrà lo scambio.
Tuttavia la convergenza Pdl-Lega nord darebbe luogo a una maggioranza politica diversa da quella che sostiene il governo di Mario Monti. E qualora la proposta venisse approvata lo sarebbe con una semplice maggioranza e non con quella qualificata dei due terzi che metterebbe al riparo il testo dalla richiesta di un eventuale referendum confermativo. Ciò creerebbe un corto circuito politico-istituzionale. E infatti di una possibile «delegittimazione da fare tremare i polsi» si preoccupa il relatore Carlo Vizzini quando ricorda che nel 2013 si sceglierebbero Camere e capo dello Stato con leggi non più in vigore. Oggi si entra nel vivo con l’esame e il voto sui 370 emendamenti.
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