Per far leggere i ragazzi fategli riscrivere un libro
Diana Romagnoli e Maria Laura Vanorio, due insegnanti dell’ISS Pitagora di Pozzuoli, periferia di Napoli, hanno inventato un progetto che si chiama La pagina che non c’era. È un concorso di scrittura per i ragazzi delle scuole superiori articolato in tre fasi. La prima consiste nella lettura di quattro romanzi contemporanei scelti dalle insegnanti con il criterio di proporre ai ragazzi libri diversi tra loro. La seconda nell’incontro con gli autori dei romanzi. La terza nella stesura de La pagina che non c’era, cioè di una pagina scritta con lo stesso stile del romanzo e che potrebbe essere aggiunta in un punto qualsiasi del libro. E per finire le quattro pagine migliori, scelte dagli scrittori, ricevono un premio in libri. Il tutto autogestito e praticamente a costo zero.
I quattro romanzi di quest’anno sono Settanta acrilico e trenta lana di Viola Di Grado, La briscola in cinque di Marco Malvaldi, La seconda mezzanotte di Antonio Scurati e Lu campo di Girasoli del sottoscritto. I ragazzi che hanno partecipato agli incontri sono stati più di 300, con 17 scuole campane e 2 che venivano da altre regioni ed erano ospitate dai ragazzi di Pozzuoli. C’erano inoltre laboratori di scrittura gratuiti e alla fine le pagine arrivate sono state un centinaio, con Malvaldi risultato il più imitato e con molte più ragazze scrittrici.
Il progetto de La pagina che non c’era ha obiettivi semplici, ma il principale resta quello di invogliare i ragazzi alla lettura, strappandoli, come dicono le madri, alle varie diavolerie tecnologiche.
Ora però, secondo me, il problema dei giovani che leggono poco, non sono le chat, i social network, Facebook e gli sms. Il problema è semmai quando questa particolare forma di comunicazione diventa l’Unica forma di comunicazione.
In un articolo su Repubblica del 15 aprile, Miguel Gotor sottolinea il proliferare di storie raccontate in prima persona e vissute personalmente, come se ciò rappresentasse l’autenticità di una storia e quindi di una realtà . Ma come dice Emanuele Trevi, sempre su Repubblica del 15 aprile, si tratta di un’illusione, poiché il primo testimone di se stesso è in realtà Narciso, che guarda un inganno, un riflesso nell’acqua. E scegliendo di amare se stesso annega tutto il suo essere nell’inesistenza.
E così amicizia, amore e sessualità , si rischia di raccontarli e non di viverli, di immaginarli senza toccarli. All’Essere si sostituisce l’Apparire. Al Vivere, l’Immaginare.
Questo però non è il mondo che i ragazzi hanno creato, ma è quello in cui si sono trovati a vivere e dal quale partono per cercare una nuova strada. Perciò i testi sciatti e privi di consistenza che sono accusati di scrivere, derivano proprio da questa impalpabilità della vita, che non è la loro, ma è quella della società in cui vivono e delle loro famiglie.
Esistono naturalmente famiglie e professori che riescono a lasciare un peso e un segno positivo nella vita dei ragazzi. Ma le famiglie non possono illudersi di demandare alla scuola il tentativo di una trasformazione. La scuola può contribuire a questo, ma lo potrà fare in maniera decisiva solo quando, e se, le verrà restituito il suo ruolo primario.
Come trasmettere dunque il piacere della lettura? Non si può certo immaginare di proporre le stesse letture di trent’anni fa. Ma per scegliere bene ci vuole talento. E il talento non c’è senza passione per il proprio lavoro. E la passione può venire a mancare quando la società tende a minimizzare l’importanza di quel lavoro.
Perciò l’invenzione de La pagina che non c’era non è solo un tentativo originale di comunicare il piacere della lettura. È molto di più, poiché individua un elemento essenziale dei nostri tempi che è quello di rendere protagonisti i ragazzi. E non in quella forma narcisistica di cui parlava Trevi poiché ai ragazzi viene chiesto prima di ogni altra cosa una disponibilità all’ascolto.
Così che tutto viene riportato a una Vera forma di comunicazione. Vera in quanto concreta, si tocca e non si Immagina. Nella scuola di Pozzuoli si realizza così un piccolo miracolo. Perché i ragazzi sono stati snidati dal loro guscio. Ma i ragazzi non aspettavano altro. Sono disponibili e ricettivi. Vogliono mettersi in gioco. Vogliono giocare. Vogliono vivere, semplicemente vivere.
E io, in quel pomeriggio con loro, ho sentito questa fame di vita, fatta di domande che andavano in tutte le direzioni, come un fiume inarrestabile. Ed era una fame di vita immensa e arretrata, destinata a portare cambiamenti inaspettati nel futuro prossimo, quella pagina del futuro che una politica vecchia non è capace neppure di immaginare, ma che i ragazzi, con il loro entusiasmo, stanno già scrivendo.
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