Offese, violate e mutilate
È INCREDIBILE COSA SI SONO INVENTATE NEL MONDO LE DIVERSE SOCIETà€ PER GARANTIRE AGLI UOMINI IL CONTROLLO DELLE DONNE: dal velo al burka, dalla deformazione dei piedi delle bambine, che in Cina impediva loro di camminare, al gavage, la nutrizione parossistica forzata in alcune zone dell’Africa, fino al più crudele dei provvedimenti, diffuso in molti paesi africani: le Mgf, mutilazioni genitali femminili. Tanto frequenti da avere indotto in questi giorni il Parlamento Europeo a chiedere ai Paesi membri di vigilare e sviluppare strategie per evitare che questa pratica venga ancora effettuata nelle famiglie di immigrati. Magari inducendo le figlie adolescenti a fare «un bellissimo viaggio nel Paese dei nonni».
La campagna europea EndFgm è condotta da Amnesty International Irlanda in collaborazione con 14 organizzazioni non governative di 13 Paesi europei. In Italia ne è responsabile l’Aidos, Associazione donne per lo sviluppo, che da anni si batte in vari paesi africani per tutelare donne e ragazze che hanno subito le mutilazioni e proteggere quelle che fuggono dai loro Paesi per il timore di subirle. Daniela Colombo che fondò questa associazione nel 1982 ricorda che queste pratiche, specie nella forma estrema diffusa nel Corno d’Africa ha gravi conseguenze fisiche e psichiche. Si calcola che in Europa le donne con postumi di queste terribili operazioni siano 500mila e 180mila le bambine a rischio di subirle. In Italia la legge ha stabilito nel 2006 che questa pratica è vietata, ma si sa che non è sparita e che per sfuggire a un’eventuale sanzione si preferisce anticipare la menomazione sulle bambine, piuttosto che sulle adolescenti, per evitare rischi di denuncia.
E dire che già dal 2005 autorevoli personaggi si battono in Africa contro questa pratica che noi giudichiamo inumana e che fino a non molti anni fa veniva gabellata come una difesa delle donne: una volta «cucite» si diceva loro non erano più a rischio di violenza. Ciò non toglie che tra le prime voci a levarsi contro le mutilazioni delle donne ci sono state quelle degli uomini: i primi che attraverso il lavoro sono venuti a contatto con opinioni e modi di vita molto diversi da quelli della tradizione africana. Già nel 2003 il Gran Muftì della moschea di Al-Azhar, Sayed Tantawi, massima autorità religiosa sunnita, disse in diretta radiotelevisiva che le mutilazioni agli organi sessuali delle donne non erano prescritte dal Corano. Tantawi aveva ragione: l’Islam non ha dato origine alle Mgf per la buona ragione che queste erano già presenti nell’Africa centrale prima della penetrazione musulmana.
QUATTRO TIPI DI VIOLENZA
Secondo la classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità si possono distinguere quattro tipi di mutilazioni genitali femminili: la sunna, consistente nella recisione del prepuzio e nell’asportazione totale o parziale della clitoride; l’escissione, recisione del prepuzio, asportazione della clitoride e di tutte o parte delle piccole labbra; infibulazione o circoncisione faraonica, escissione della clitoride, asportazione totale o parziale delle grandi labbra e successiva cucitura dell’apertura vaginale, ridotta a un piccolo pertugio non più grande di un chicco di riso; il quarto tipo va dalla semplice punzecchiatura della clitoride a pratiche atroci (ormai rare, si dice) come l’introduzione di sostanze corrosive in vagina.
Un’importante scrittrice egiziana che è anche medico, Nawal El Saadawi, ha raccontato nel suo libro The hidde face of Eve le confidenze di molte donne che avevano subito interventi più o meno distruttivi: tutte raccontavano ancora tremando la brutalità dell’operazione subita in casa da bambine, nessuna di loro aveva in seguito provato alcun piacere nei rapporti matrimoniali. Un altro medico egiziano fortemente avversario delle mutilazioni genitali femminili, il prof. Mahmoud Karim, nel suo libro Circumcision elenca alcune statistiche dalle quali apprendiamo che sono i poveri a pagare il più alto tributo alla tradizione: più basso è il reddito, più alto il numero di figlie circoncise. Solo il 15% delle benestanti viene operata, a fronte dell’88% delle figlie dei poveri.
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