by Editore | 1 Giugno 2012 8:57
Lo hanno rapito in pieno pomeriggio durante un sopralluogo a un cantiere, nel sole e nella polvere della capitale del Kwara, in Nigeria. Modesto Di Girolamo ne ha costruite così tante, di strade, in quarant’anni di lavoro in Africa, che agli amici di Rocca di Cambio – il paese abruzzese sull’Altopiano delle Rocche dove lo aspettano sua moglie e i suoi tre figli – aveva confessato di aver voglia di dire basta: a settant’anni suonati «è ora che me ne vada in pensione, dopo tanti sacrifici». Invece era destinato a vivere la terribile avventura che ora tutti si augurano finisca presto e bene.
Erano le 17,45 di lunedì scorso. Di Girolamo, un tecnico esperto della piemontese “Borini & Prono costruzioni Spa”, stava controllando la zona del cantiere a Ilorin, una città di un milione di abitanti nel sudovest del paese, insieme ad alcuni collaboratori locali. Armi in pugno, un gruppo di uomini lo ha rapito sparendo nel dedalo sterminato di casette della capitale.
La Farnesina non diffonde dettagli: troppo delicata, la situazione, in un Paese che è stato scenario della tragedia di Franco Lamolinara, l’ingegnere ucciso insieme a un ostaggio inglese in uno sciagurato blitz anglo-nigeriano. E proprio ieri un altro blitz delle forze di sicurezza nigeriane è stato fatale a un ostaggio tedesco, Edgar Fritz Raupach, rapito a gennaio a Kano, nel Nord, da un gruppo legato a Al Qaeda. Per questo il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha parlato con il suo collega nigeriano Olugbensa Ashiru ricordandogli che per l’Italia «l’incolumità è una priorità assoluta», e chiedendogli di non autorizzare azioni di forza che possano mettere a rischio la vita di Di Girolamo. E a gestire la situazione sul campo è andato direttamente il responsabile dell’Unità di crisi.
Dai rapitori, silenzio assoluto. «Una gang di criminali, una delle tante che scorrazzano in zona», dice un cronista del Guardian Nigeria. Le terre in cui imperversano i Boko Haram, il gruppo terrorista islamico che sta insanguinando il Paese e nelle cui mani era finito Lamolinara, sono lontane centinaia di chilometri, nel nordovest in cui sempre più stati stanno adottando la sharia. Ma non si esclude nulla: «Lì ormai è così – dice a Radio Capital la titolare, Daniela Prono – chi capita capita: sono cani sciolti, schegge impazzite, che sia Boko Haram o quattro disperati. Ci auguriamo tutti sia un sequestro a scopo di riscatto. Mio fratello è giù, siamo pronti a pagare: dipende dall’entità della cifra, ma al momento nessuno ha rivendicato».
Su richiesta della Farnesina, la famiglia adotta la linea del silenzio: «Ci hanno detto di non dire nulla… ci affidiamo alle istituzioni», ripetono i figli, sconvolti. Una prudenza più che giustificata, le trattative possono essere difficili e lunghe: se Claudio Colangelo e Paolo Bosusco, rapiti in India dai maoisti, se la sono cavata in meno di un mese, Maria Sandra Mariani è rimasta più di un anno nelle mani dei terroristi islamici di Al Qaeda per il Maghreb. E da molti mesi sono prigionieri altri due italiani: Rossella Urru, catturata nel sud dell’Algeria lo scorso ottobre, e Giovanni Lo Porto, il cooperante siciliano rapito il 19 gennaio in Pakistan insieme a un collega tedesco; stanno vivendo lo stesso incubo in cui è precipitato Modesto.
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