Nel negoziato con l’Iran vince l’intransigenza

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Sembra già  dissipato, l’ottimismo suscitato in marzo dalla ripresa di colloqui tra l’Iran e le potenze mondiali – Stati uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania, il cosiddetto gruppo 5 più uno. Ieri l’Iran ha accusato le nazioni occidentali di tenere un atteggiamento dilatorio in vista del prossimo incontro, programmato il 18 giugno a Mosca. Tehran ha scritto ben due volte ai rappresentanti dei 5 più 1 per concordare gli incontri preparatori: ma non ha mai ricevuto risposta, riferisce l’agenzia di stampa ufficiale Irna. «Il ritardo della controparte circa gli incontri a livello di esperti solleva dubbi e ambiguità  sulla loro volontà  di arrivare a colloqui positivi», dice il capo-negoziatore iraniano Saeed Jalili in una lettera indirizzata alla signora Catherine Ashton, capo della politica estera europea (e coordinatrice del gruppo dei 5 più 1). Una portavoce ha subito risposto che Ashton contatterà  Jalili prima del vertice di Mosca, ma che «non vede la necessità » di altri incontri tecnici.
Altrettanto fredde sono le dichiarazioni circolate ieri presso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) a Vienna, dove domani, 8 giugno, torneranno a incontrarsi i rappresentanti dell’Iran e dell’Agenzia: dovrebbero definire un accordo sui controlli che l’Aiea ritiene necessari a chiarire gli aspetti controversi delle attività  nucleari iraniane. Sul tavolo ad esempio è la possibilità  che ispettori internazionali accedano a un sito militare iraniano, Parchin, dove (secondo fonti di intelligence occidentali) potrebbero avvenire test rilevanti per mettere a punto testate atomiche. Un paio di settimane fa un accordo sembrava imminente: il direttore dell’Agenzia, Yukia Amano, era tornato da una visita a Tehran dichiarando che i termini erano ormai definiti. Ieri l’ambasciatore dell’Iran presso l’Aiea, Ali Ashgar Soltanieh, ha dichiarato che «sfortunatamente l’Agenzia dovrebbe essere un’organizzazione tecnica internazionale ma sta giocando il ruolo di u’agenzia di intelligence»: dichiarazione interpretata dai diplomatici occidentali come segno di scarsa disponibilità  all’accordo.
Benché separati, l’accordo con l’Aiea e i colloqui tra l’Iran e il gruppo delle potenze mondiali sono due partite collegate. Ma dopo un primo avvio positivo in marzo a Istanbul, un secondo vertice tenuto a Baghdad era finito su posizioni inconciliabili. Il motivo principale è la linea inflessibile degli Stati uniti, che rifiutano di alleggerire le sanzioni contro l’Iran prima che Tehran rinunci del tutto al suo programma di arricchimento dell’uranio, rifiutando quello che la Russia chiama approccio «passo per passo», far seguire a ogni gesto positivo dell’Iran un rilassamento delle sazioni.
Il paradosso è che l’Iran continua a lanciare segnali di disponibilità  – potrebbe smettere di arricchire uranio al 20%, come sta facendo (per rifornire il suo reattore per la ricerca medica), magari accettare di mandarlo presso paesi terzi. Ma chiede contropartite. Una è strettamente politica, come ha dichiarato l’altro giorno uno dei condiglieri del Leader supremo: cioè che il mondo riconosca «l’inalienabile diritto dell’Iran» in quanto firmatario del Trattato di non proliferazione atomica (Tnp) a sviluppare l’intero ciclo nucleare.
L’altra contropartita ovviamente è alleggerire le sanzioni economiche, che ormai colpiscono in modo pesante il settore petrolifero e il sistema bancario iraniano. Questo però non è avvenuto, e difficilmente le cose miglioreranno in vista del terzo incontro a Mosca: e questo perché l’amministrazione Obama è irremovibile sulla richiesta che l’Iran chiuda il suo impianto atomico di Fordow, dove avviene l’arricchimento dell’uranio (e che attualmente è sotto la sorveglianza dell’Aiea). 
E così Washington ha ceduto alla pressione di Israele, che considera la chiusura di Fordow irrinunciabile. D’altra parte, l’amministrazione Obama avrebbe grande difficoltà  a modificare le sanzioni (che sono leggi approvate dal Congresso): proprio in marzo le due camere hanno approvato una risoluzione che chiede all’amministrazione di agire per «inpedire all’Iran di dotarsi di capacità  nucleare bellica», dopo un intenso lavoro di lobby dei 12mila attivisti dell’American Israel Public Affair Committee (Aipac, la più potente lobby filo-israeliana negli Usa). Il paradosso, è che così intento l’iran continua a produrre uranio al 20%, porprio ciò che le nazioni occidentali giudicano urgente evitare.


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