Ma piazza Tahrir non ci sta
IL CAIRO Un piccolo patibolo di metallo in mezzo a piazza Tahrir. Certo Cesare Beccaria non approverebbe. Ma quel simbolo macabro condensa bene le emozioni dei rivoluzionari egiziani di fronte alla sentenza di condanna pronunciata ieri contro il rais. «La sentenza del popolo è la morte» come proclamava uno dei cartelli dei familiari dei “martiri” della rivoluzione riuniti ieri nel centro del Cairo, per protestare contro una condanna a 30 anni di prigione che molti considerano insufficiente rispetto alla gravità dei crimini commessi dall’ex presidente. La delusione di fronte all’esito del processo contro Hosni Mubarak rischia cosi di aggiungere nuovo carburante a una fase politica già incandescente, mentre mancano due settimane del secondo turno delle elezioni presidenziali che si terranno il 16 e il 17 e che vedrà scontarsi un personaggio del vecchio regime Ahmed Shafik, ed il segretario del partito Libertà e Giustizia dei Fratelli Musulmani, Mohammed Mursi. A dire il vero, quando ieri mattina nell’Accademia di Polizia del Cairo trasformata in tribunale, il giudice Ahmed Refaat ha cominciato a leggere la sentenza di condanna a 30 anni contro l’ex rais, in molti tra i manifestanti riuniti all’entrata stentavano a credere alle proprie orecchie, dato che in molti alla vigilia consideravano improbabile una condanna. «Il popolo egiziano si è svegliato il 25 gennaio a una nuova alba dopo trenta anni di profonda, profonda, profonda oscurità », aveva dichiarato solennemente Refaat prima di pronunciare la sentenza contro l’ex presidente Hosni Mubarak, il quale ha ascoltato impassibile da un lettino dietro spessi occhiali da sole. Oltre a Mubarak è stato condannato all’ergastolo il suo ex ministro degli interni Habib elAdly, per cui era stata richiesta la pena di morte. Ma presto la gioia ha dato luogo alla rabbia quando il giudice è passato a snocciolare una serie di sentenze di assoluzione per diversi alti ufficiali della polizia e per la paura che la sentenza di condanna contro Mubarak e altre personalità del regime possa essere ribaltata in un processo d’appello. Mubarak è stato infatti prosciolto da accuse di corruzioni così come lo sono stati i suoi due figli Alaa e Gamal, il secondo dei quali era l’erede prescelto al trono del rais. Ad essere risparmiati dal giudice sono stati anche diversi alti ufficiali di polizia, accusati di essere i responsabili operativi per la gestione sanguinosa dell’ordine pubblico durante i giorni della rivoluzione. Queste assoluzioni, secondo gli avvocati delle famiglie delle vittime del regime, sono una chiara dimostrazione della debolezza dell’impianto accusatorio del processo, che potrebbe essere fatto a pezzi nella fase d’appello. Dopo mesi passati in un centro medico, Mubarak ieri è stato trasportato nella prigione di Tora nel sud del Cairo. Ma quanto durerà la sua prigionia, si chiedono in molti tra i veterani della rivoluzione? L’insoddisfazione per la sentenza di condanna ha provocato a partire dal primo pomeriggio di ieri una grande reazione pubblica. Piazza Tahrir è stata inondata da migliaia di manifestanti, a cui si sono aggiunti gli ultras delle squadre di calcio cittadine dell’al-Ahly e dello Zamalek, che a suo tempo avevano dato un pesante contributo di sangue alla rivoluzione contro il vecchio regime. Per Mohammed Saidi, uno dei ragazzi veterani della rivoluzione, «la sentenza è una farsa in vista delle elezioni per lasciar credere che nessuno è al di sopra della legge, così che la gente pensi che non c’è nessun rischio a votare Shafik piuttosto che i fratelli musulmani. Ma tutti hanno capito subito che questa sentenza era una trappola e non ci sono cascati». In piazza ieri oltre alla rabbia e alla delusione ieri a Tahrir si respirava un grande senso di entusiasmo nonostante lo scenario da incubo del secondo turno delle elezioni presidenziali con la scelta tra Shafik e Mursi e la voglia di boicottaggio. Il nasserista Hamdin Sabbahi, che nel primo turno aveva ottenuto un clamoroso successo arrivando terzo a ridosso di Shafik, è stato accolto come un eroe dai manifestanti, tanto da svenire per il troppo affetto. A esprimere solidarietà ai manifestanti ieri in piazza c’era anche Beltagy, personalità di spicco dei Fratelli Musulmani, che nonostante i recenti dissapori con il popolo di Tahrir sperano al secondo turno di raccogliere i voti di coloro che vogliono a tutti costi evitare una vittoria di Shafik e un ritorno al vecchio regime. Nonostante il contegno pacifico dei manifestanti, già a partire dal primo pomeriggio attorno di ieri a piazza Tahrir ci sono stati scontri con le forze di polizia che hanno provocato decine di feriti. I manifestanti sono decisi a dare vita nei prossimi giorni ad un sit-in per chiedere un nuovo processo contro Mubarak, ma pure per contestare la presenza di Shafik nel secondo turno delle presidenziali. Una legge varata poco tempo fa dal parlamento lo escluderebbe dalla corsa in quanto primo ministro sotto Mubarak, ma la giunta militare ha deciso di chiedere un parere alla corte costituzionale, che giungerà solo alla vigilia del secondo turno previsto per il 16 e 17 Giugno. In molti temono che nei prossimi giorni le manifestazioni di piazza possano essere represse duramente dalla polizia, per scatenare ad arte nuovi scontri violenti come quelli visti nello scorso novembre e rinfocolare in questo modo quelle diffuse paure di instabilità che sono valse milioni di voti a Shafik.
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