by Editore | 1 Giugno 2012 14:22
Tendopoli sorgono spontaneamente nei giardini privati della gente Tra le macerie di Cavezzo: «Mai viste abitazioni costruite con materiali così infimo»Il puzzo della polvere che sale dai cumuli di macerie e il profumo dei tigli in fiore. È l’odore del terremoto di maggio trasportato dal vento tra le strade deserte di Cavezzo, comune di 7mila abitanti nella Bassa modenese. Alle prime luci del mattino la zona rossa al centro del paese è un susseguirsi di montagne di detriti, là dove c’erano palazzine con uffici, bar, appartamenti, e di zone transennate. Da quando l’inferno si è presentato alla gente d’Emilia, la mattina di domenica 20 maggio, da queste parti ci si sveglia alle prime luci dell’alba: c’è chi esce dall’auto in sosta sotto casa, a debita distanza da qualsiasi muro, chi dalla tenda piantata nel giardino, chi dal centro di accoglienza nel palaverde, un impianto sportivo antisismico trasformato in enorme camerata. Dentro le case di pietra, cemento e mattoni, non ha dormito nessuno. E’ troppa la paura per chiudere gli occhi e abbandonarsi al riposo quando la terra continua a tremare.
Mentre sindaco, assessori, vigili del fuoco e tecnici comunali sono in riunione per stilare l’elenco di interventi del giorno, fuori dal centro operativo comunale la fila di cittadini inizia ad ingrossarsi: arrivano per segnalare lesioni alla proprie case, agli uffici, alle aziende; per chiedere dove possono trovare un posto letto; per sapere dove si può avere un pasto caldo.
Si continua con gli abbattimenti a Cavezzo: le strutture troppo danneggiate, quelle che incombono su strade o su altre case vengono distrutte da grosse pale meccaniche. «Sono state fatte con materiali infimi, scadenti» dice l’assessore Maria Cristina Margutti che, accompagnando i vigili del fuoco a visionare la case lesionate si è sentita dire che mai era capitato, ai pompieri, di vedere cemento così poco armato e fatto con così tanta sabbia.
Al campo sportivo, dove c’era una tendopoli spontanea, è arrivata la colonna abruzzese della Protezione Civile: 300 posti letto nelle tende ed una cucina da campo. Lì ci sono anche i militanti di Rifondazione comunista che, insieme ai volontari delle Brigate di solidarietà attiva, sono arrivati per aiutare. Federica Zoboli è una di loro: «Io stessa sono una sfollata, vivo a San Prospero (paese 5 chilometri a sud) ma sono venuta a lavorare perché questa è la mia gente. I cittadini stessi chiedono come aiutare: gli emiliani non vogliono sentirsi inutili, non vogliono l’elemosina, vogliono poter aiutare». «Qui siamo abituati prima a chiederci cosa possiamo fare noi e poi a chiedere cosa gli altri possono fare per noi» dice un altro.
Medolla
A tre chilometri da Cavezzo c’è la zona industriale di Medolla. Qui, sotto le macerie della Haemotronic sono morti 4 operai. E’ rimasta solo la cordella di nylon bianca e rossa dei carabinieri ad impedire l’accesso alla zona. Sulle poche finestre non finite in frantumi ci sono i sigilli della Procura.
Tutt’attorno il vuoto, la desolazione di una zona industriale in cui sono poche le fabbriche non danneggiate e manca proprio ciò che la rende viva: il lavoro, i lavoratori. E il silenzio, rotto solo dall’allarme di una fabbrica che continua a suonare dopo l’ultima scossa.
Carpi
Ad una quindicina di chilometri a sud ovest si trova Carpi, comune di 70mila abitanti. Qui il terremoto ha colpito soprattutto il patrimonio storico e sono relativamente pochi gli sfollati. Il centro operativo comunale è un formicaio: gli impiegati prendono le segnalazioni di edifici danneggiati da controllare mentre i volontari della protezione civile danno indicazioni ai cittadini. Su di una panchina sul retro della scuola, all’ombra di un albero, c’è il sindaco Enrico Campedelli, che ha appena terminato una riunione e sta per iniziarne un’altra. Le persone che avranno la casa dichiarata inagibile potrebbero essere, secondo le sue stime, circa 300. Ma anche qui, la notte, in pochi dormono in casa.
Il sindaco non ha emesso, come il collega di Mirandola, un’ordinanza che impedisce l’accesso all’area industriale. Il messaggio di Campedelli agli imprenditori è stato: «Non abbiate fretta. L’impresa, fatela controllare una volta di più. Fateli controllare con attenzione i capannoni. Perché con la vita delle persone non si scherza». La stessa linea il primo cittadino l’ha mantenuta con l’ospedale evacuato martedì: fino a che gli ingegneri dell’Ausl non l’avranno controllato palmo a palmo «non lo riapro» dice il sindaco.
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