L’ora dell’interrogatorio per il maggiordomo
ROMA — Domani potrebbe essere un giorno di svolta per Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa, in stato di fermo da oltre una settimana, in una cella di sicurezza della caserma vaticana: è accusato di aver trafugato carte segrete del Papa e averle passate al giornalista Gianluigi Nuzzi per pubblicarle nel saggio «Sua Santità ». Potrebbe avvenire proprio domani, o al massimo martedì, l’interrogatorio formale del 46enne, sposato e padre di tre bambini, sul quale il Vaticano ritiene di aver trovato prove a sufficienza per accusarlo almeno di furto aggravato. Se non di aver attentato alle prerogative del Papa, come capo di Stato e come autorità religiosa. Per ora l’assistente di camera del Papa resta l’unico indagato nell’inchiesta. E dopo l’interrogatorio formale potrebbe ottenere la libertà vigilata, se verrà presentata dai suoi difensori l’istanza di scarcerazione. E se, come pare, sarà accolta. Gli avvocati di «Paoletto» Gabriele hanno già fatto sapere che il cittadino vaticano intende fornire un’ampia collaborazione.
Ma l’inchiesta non si fermerà lì. La Santa Sede intende chiedere all’Italia, con una rogatoria internazionale non ancora arrivata al ministero della Giustizia, di poter estendere le accuse anche a Nuzzi e ad altri cittadini italiani che, sempre nell’ipotesi investigativa vaticana, avrebbero contribuito alla diffusione delle carte che dovevano rimanere segrete. Malgrado il giornalista abbia respinto l’accusa di furto o di ricettazione, dichiarando, senza rivelare le proprie fonti, che per alcuni documenti la fonte è stata l’estensore stesso, per altre il mittente. E smentendo l’ipotesi di complotto o di attentato al Papa, spiegando che la motivazione di chi ha voluto rendere trasparenti alcune scelte della Santa Sede è stata opposta.
Il Papa è intervenuto esplicitamente contro quelle che ha definito «illazioni gratuite e infondate» e ha confermato la fiducia ai suoi più stretti collaboratori. Tuttavia c’è chi, come il canonista don Filippo Di Giacomo, è convinto che lo scontro sia in atto «fra la fazione più retriva e carrierista della Curia romana, che si sente frustrata e messa da parte e il Pontefice con i suoi più diretti collaboratori». In questo senso, sostiene il canonista su Gente, Paolo Gabriele sarebbe «solo una piccola pedina di un gioco ben più vasto di “corvi” che mirano a destabilizzare il Papa e la sua segreteria di Stato». Anche se su Gabriele, rivela: «Dopo la morte di Giovanni Paolo II, Angelo Gugel, suo maggiordomo prossimo al pensionamento, aveva fatto in tempo a capire che la scelta di Gabriele come suo sostituto non era giusta e lo aveva detto chiaramente in una serie di osservazioni dirette prima di lasciare l’incarico».
Per l’esperto di questioni vaticane comunque Papa Ratzinger sarebbe pronto alla contromossa: tirare fuori dal cassetto «un progetto di riforma della Curia, preparato dal defunto cardinale Mario Francesco Pompedda, già prefetto del Supremo tribunale della segnatura apostolica. Una riforma tale da rendere la struttura vaticana più consona ai principi evangelici, ma anche più somigliante a uno stato moderno e non a una corte medievale, dominata da intrighi e vendette».
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Cerchiamo di spegnere le grida, i «non possumus», i pesci in faccia dei primi giorni, e cerchiamo di vedere a quali condizioni sarebbe possibile un governo fatto dalla coalizione che ha vinto e reso possibile dai voti 5 Stelle. Che si possa fare dipende dalle risposte a due domande.