«L’azienda-famiglia è morta, la democrazia è un problema»

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Ai grandi media è quasi ignoto, sul web è seguitissimo, come i tour di conferenze nel suo Veneto. Ha pubblicato un sacco di saggi, l’ultimo è dedicato alla crisi europea ( Neurolandia , ed. Chiarelettere). Eugenio Benetazzo è una strana figura: laurea in economia aziendale, giovane analista e commentatore finanziario, gestore di fondi e patrimoni (altrui), è stato definito il «Grillo dell’economia» o il «Roubini italiano», lui si descrive come «il più autorevole economista italiano fuori dal coro». Esagera, ma il suo sentenziare fa scuola perché dà  voce a qualcosa di ben radicato a nord est. Anche se è impietoso con i suoi conterranei e chi lo ascolta si spaventa pure un po’. Crisi nera da queste parti? Non solo qui. E’ la metamorfosi del sistema occidentale che declina per il risveglio dell’Asia. Non è una crisi di transizione, siamo destinati a ritornare poveri. Non si salva nemmeno l’operoso Veneto? Scarsi capitali iniziali, tantissime piccole imprese e tanto lavoro: un modello che non può reggere di fronte alla concorrenza asiatica. Gli scarpari del Brenta, la concia e l’abbigliamento del vicentino, gli artigiani orafi: tra dieci anni avremo pochissimi superstiti e tantissimi «morti». Anche perché manca una cultura imprenditoriale, l’azienda-famiglia non ha futuro. Nemmeno ricavandosi delle nicchie? No, se non cambia l’approccio. Io amministro un fondo d’investimenti a Vicenza. In questi mesi di crisi abbiamo girato decine di piccole e medie imprese proponendo alleanze finanziate da nuovo capitale di rischio – per bypassare «l’avarizia» delle banche – entrando a far parte della gestione sociale. La risposta quasi unanime è stata: «No voio aver a che far con gente che vien a meter el muso nei miei afari». Così non si va da nessuna parte. Invece che bisogna fare? Cambiare la testa: abbandonare il manifatturiero a basso valore aggiunto, concentrarsi sulla ricerca, la cura dello «stile», le nuove tecnologie. Ma servono soprattutto scelte di fondo. Cioè? Il problema è l’Europa. L’euro non ha avvicinato il sud al nord, per cui la soluzione più ovvia sarebbe una doppia moneta, l’Euro a due velocità . Per un po’ funzionerebbe. Insieme al commissariamento delle fondazioni bancarie: il governo dei tecnici dovrebbe fare con le banche ciò che ha fatto con la politica, metterle sotto tutela. Poi servirebbe una nuova leadership, perché sul medio periodo questa crisi la si può affrontare solo con decisioni radicali: se serve il protezionismo o un piano di green economy, gli eurobond o una politica fiscale europea ci vuole qualcuno che abbia il potere di imporlo. Ci sarebbero parlamenti e governi… Oggi la democrazia rappresentativa è solo un problema. L’emergenza economica è incompatibile con la democrazia che va sospesa a tempo determinato, fino all’uscita dal tunnel. Serve un leader, un grande timoniere che decida per tutti. Un «Mao europeo»… Mao? Si, voglio dire che dovrebbe essere fatto qui quel che Mao fece in Cina modernizzandola per poi aprire la strada alle grandi riforme e allo sviluppo attuale. Forse il maoismo è stato un po’ più complesso. Ma torniamo alla sospensione della democrazia. Berlusconi e la Lega, con il loro populismo, qualche passo in quella direzione lo avevano fatto… Roba passata. Servirebbe un Berlusconi nuovo – non quello vecchio – per rilanciare l’economia. Quanto alla Lega, gli scandali le hanno dato solo l’ultimo colpo, ma da queste parti è chiaro da tempo che ha fatto pochissimo per il Veneto: qui il futuro politico appartiene a movimenti come «Veneto Stato», gli indipendentisti crescono.


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