by Editore | 21 Giugno 2012 8:23
ROMA — Ormai «tutto può succedere», dicono anche le più candide fra le colombe del Pdl. Tutto. Dopo il vertice europeo del 28 giugno, deadline per verificare se qualcosa cambierà , se Mario Monti tornerà dal Consiglio con risultati in mano grazie ad una Merkel ammorbidita, potrebbero «saltare tutti gli equilibri — dice un fedelissimo dell’ex premier — e potremmo davvero andare al voto anticipato».
Nulla è deciso, ma il piano sembra inclinarsi ogni giorno di più perché tenere assieme un partito ormai in preda a convulsioni e malumori non repressi è sempre più difficile. L’ala dura che ha digerito male, malissimo, il sì al governo Monti è convinta che così non si possa più andare avanti, e le file di chi suggerisce al segretario e a Berlusconi di chiudere l’avventura si ingrossano. Ci sono gli ex An a contestare sempre più duramente le scelte di Monti e dei suoi ministri che «ci stanno costando sangue», ci sono tanti forzisti ormai convinti — come Brunetta, Sacconi, Martino — che andare avanti così porterà al baratro, e a loro si sommano ormai i maldipancia di chi si chiede se valga la pena fare argine, accettare l’agonia di altri mesi di governo: anche Cicchitto, anche Lupi, anche Fitto, anche lo stesso Alfano vacillano: «Sosterremo Monti nonostante le difficoltà fino al vertice, ma poi dipenderà dalla Merkel e da lui quello che succederà . Sia per noi che per il Pd potrebbe essere impossibile andare avanti senza cambiamenti». La fiducia sul ddl lavoro è stata l’ultima goccia, nel vertice notturno di martedì sera c’è stata battaglia tra chi diceva che no, non si poteva subire un altro affronto e chi invece suggeriva che in vista del vertice europeo si era costretti a concedere questa carta a Monti. Ma c’è voluta ieri pomeriggio l’accorata telefonata del premier sia al Cavaliere («Ti ringrazio del sostegno, Silvio, dobbiamo vederci!»), sia ad Alfano, e soprattutto è stato essenziale il gioco di squadra di Alfano, Lupi, Cicchitto, Verdini, Bonaiuti per far dire alla fine a Berlusconi che sì, nonostante le tante cose che «non ci convincono» il ddl lavoro «lo sosterremo, sosterremo Monti», anche perché l’assicurazione che i guasti saranno sanati nel ddl sviluppo «ci è stata data».
Parole pronunciate a fermare il possibile salto nel vuoto che era apparso imminente dopo il discorso di Berlusconi alla presentazione del libro «Nel cuore dell’Impero, l’America di Obama» di Gianstefano Frigerio. Un discorso per niente estemporaneo, anzi molto meditato, con tre ipotesi di uscita dalla crisi: la prima è l’auspicio che «il premier faccia valere la nostra solidità e forza economica e faccia pressing perché la Germania ammorbidisca la sua posizione dicendo sì ad un euro di cui la Bce sia garante di ultima istanza e batta moneta». La seconda strada «non è un’idea mia, ma non è balzano immaginare che sia la Germania a ritirarsi dall’euro: ho parlato con esponenti della finanza tedesca e me l’hanno dato per possibile e anche per positivo». La terza infine è quella che nessun leader europeo ha mai pronunciato esplicitamente: «Potrebbero essere gli altri Paesi a tornare alle monete nazionali. Avrebbe i suoi vantaggi, perché con la svalutazione si esporta di più, e anche quando avevamo un’inflazione a doppia cifra avevamo meno disoccupazione di oggi».
Berlusconi sa che le sue parole possono «dare scandalo», ma non le ritira: «Il 15 luglio nella nostra università terremo un convegno su questo tema dell’euro con Martino e alcuni premi Nobel». Come a dire, l’ipotesi è concreta e niente affatto «una provocazione» come invece dichiarava nelle stesse ore al Wall Street Journalaggiungendo che l’errore di Monti è l’aver imposto «troppe tasse». Nella stessa intervista, l’ex premier ha parlato anche della cancelliera tedesca: «Se andiamo avanti con le politiche della signora Merkel finiremo in una spirale di recessione sempre peggiore. È davvero la politica sbagliata».
Dunque, cosa vuole Berlusconi? «La sua parte di pancia e irrazionale — spiega un big del partito presente alla riunione ristretta di emergenza del pomeriggio — pensa davvero si debba rompere e andare su questa linea estrema in campagna elettorale», il che peraltro fa esplodere Casini («Se la pensa così, esca dal Ppe!»). Ma la sua «parte costruttiva capisce che non si può imboccare questa strada, il partito si spaccherebbe tra moderati e falchi, e usa la provocazione per forzare Monti e Merkel».
E però, il redde rationem è vicino: martedì prossimo si terrà (allargata al gruppo alla Camera rinviato ieri per le troppe tensioni) la direzione che darà l’aut aut a Monti. E davvero, a quel punto «tutto potrà succedere».
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