L’Irlanda e il voto sul patto Ue Il governo: i sì sono al 60%

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DUBLINO — Poca, pochissima eccitazione nell’unico referendum sul Fiscal Compact che si terrà  in Europa. Ieri, gli irlandesi sono andati alle urne per votare a favore o contro la modifica costituzionale tesa a rendere vincolante la «virtù» di bilancio pubblico: quando si sono chiuse le urne, alle dieci di sera (le 11 in Italia), si è saputo che l’affluenza è stata scarsa, attorno al 50 per cento. Ciò nonostante, due fonti governative hanno detto all’agenzia di stampa Reuters che i sì dovrebbero avere vinto largamente, 60 contro 40 per cento. Si tratta però di un exit poll «privato», condotto dal governo. 
Fino a poco prima, i sostenitori del sì avevano temuto che la bassa partecipazione popolare avesse permesso al fronte del no di registrare una rimonta dell’ultimo momento: i votanti contrari ai Trattati europei di solito infatti si mobilitano più di quelli favorevoli, durante le campagne. All’ultimo referendum su una materia di interesse europeo, nell’ottobre 2009, per fare vincere il sì i votanti avevano dovuto essere il 59 per cento.
Non è che gli irlandesi questa volta si siano disinteressati del tema: la scelta che hanno fatto peserà  sul Paese per i prossimi anni. Piuttosto, sulla scarsa partecipazione ha influito l’idea che, in ogni caso, l’Irlanda ha di fronte anni duri, di sacrifici per rimettere in sesto la propria economia e tornare alla stabilità  del sistema finanziario. Che abbia vinto il sì o che vincesse il no al Trattato europeo voluto da Angela Merkel.
Quando i risultati saranno ufficiali, oggi entro il tardo pomeriggio, l’Europa potrà  sapere cosa pensa almeno un Paese su un pezzo centrale della strategia che i governi si sono dati per affrontare la crisi del debito. Se avranno davvero vinto i sì, la cancelliera tedesca Merkel potrà  dire di avere incassato un piccolo successo. E’ infatti Berlino la capitale che più ha voluto il Fiscal Compact, cioè l’introduzione nelle costituzioni europee dell’obbligo di pareggiare i conti pubblici (fatta eccezione durante recessioni gravi) e di avere meccanismi automatici di riduzione dei deficit, assieme al controllo delle contabilità  nazionali da parte di Bruxelles. Se a sorpresa dovessero vincere i no, i critici dell’impostazione tedesca potrebbero dire che le politiche di austerità  imposte dalla Germania stanno provocando una reazione popolare insostenibile.
Un referendum di rilievo teoricamente relativo — basta infatti che 12 Paesi ratifichino il Trattato perché questo entri in vigore, quindi il voto irlandese non può bloccarlo — si è caricato così di una valenza politica europea inattesa, in un passaggio in cui le strategie future per affrontare la crisi sono pienamente in discussione e aperte a novità . Anche in Irlanda, come in Grecia e come in Francia, il dibattito si è polarizzato tra i sostenitori della priorità  di mettere sotto controllo i conti pubblici — i partiti storici che hanno chiesto di votare sì — e i sostenitori della necessità  di una rottura con il modello di austerità , primo fra tutti il Sinn Féin, l’ex braccio politico dell’Ira (ora in disarmo), che ha fatto campagna elettorale per il no.
Il timore di molti irlandesi, in testa la comunità  degli affari, è che la vittoria del no spinga il Paese ai margini dell’Europa, costretto a contare solo sui propri mezzi e guardato con sospetto dai mercati. «Il sì è la certezza, il no è la terra di nessuno», aveva commentato ieri pomeriggio la commissaria europea per la Ricerca, l’irlandese Maire Geoghegan-Quinn: «un salto nel buio». Da quando è scoppiata la crisi e l’Irlanda ha ricevuto un pacchetto europeo di aiuti da 85 miliardi, nel 2010, Dublino ha rispettato tutti gli impegni di risanamento e riforme che ha preso con Ue, Fondo monetario e Banca centrale (la troika). La disoccupazione è alta, al 14,1 per cento e l’economia in calo. Ma la situazione non è disperata. Gli investimenti diretti dall’estero crescono e hanno ormai superato i livelli precedenti alla crisi del 2007. Segno che il mondo ha ancora qualche fiducia nella «tigre celtica»: si trattava di conservarla.


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