by Editore | 20 Giugno 2012 8:29
Due lustri in cui le imprese italiane hanno dovuto far fronte a una doppia discontinuità , rappresentata dal venir meno delle svalutazioni competitive della lira e dall’affermarsi di nuovi e aggressivi Paesi esportatori come Cina, India e Vietnam. Pur in assenza di politiche industriali le nostre imprese hanno però saputo reagire e hanno dato vita a una sorta di ristrutturazione silenziosa. Secondo Cipolletta e De Nardis, hanno saputo abbandonare le produzioni di massa e si sono via via specializzate in quelle a più alto valore aggiunto. Più vicinanza al mercato e alle esigenze degli acquirenti nella meccanica, più identità e soluzioni innovative nella moda, nell’arredo e nell’alimentare. L’ex direttore generale della Confindustria cita il caso di un imprenditore modenese della ceramica, Francesco Zironi, che ha messo a punto un rivoluzionario sistema fotografico per la stampa delle piastrelle. Lo stesso vale per le macchine per il taglio del legno e del marmo dove l’Italia sta abbandonando i macchinari standard e si sta specializzando nei sistemi complessi. E un’analoga tendenza la si può riscontrare nel meccanotessile, nella robotica, nelle macchine da diagnosi e in altre nicchie. «Il miglioramento manifatturiero italiano negli anni dell’euro è stato, dunque, più che apprezzabile — scrivono i due economisti — ma non sufficientemente robusto da tenere il passo con l’industria tedesca». E la spiegazione sta — per l’appunto — nel rapporto tra manifattura e servizi che in Germania si sono ammodernati e da noi no. In Italia l’industria in senso stretto rappresenta solo una quota minoritaria (19%) del valore aggiunto dell’intera economia e di conseguenza gli effetti della ristrutturazione silenziosa delle imprese si trasmettono tutto sommato debolmente sull’intero sistema. Nei servizi dove l’azione della concorrenza estera è più debole, se non assente, la riorganizzazione virtuosa post euro non c’è stata. La capacità di recepire le novità tecnologiche si è dimostrata ridotta e gli attesi mutamenti normativi pro concorrenza che avrebbero dovuto ridurre le barriere all’ingresso sono stati limitati. «Resta così ampio il gap che caratterizza le nostre imprese di servizi rispetto a quelle dei maggiori partner europei». E in queste condizioni crescere diventa decisamente più difficile. Ma se dovessimo uscire dall’euro potremmo giovarci di nuovo delle vecchie svalutazioni competitive e ripartire per questa via? «Troppo spesso si dimentica che quelle operazioni sul cambio alla fine hanno fatto crescere il debito — risponde Cipolletta —. E non penso proprio che si convenga mettere in atto un replay».
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