Ligresti, salvataggio immobiliare in alto mare
MILANO — Servono altre due settimane per salvare le holding della galassia Ligresti, la famiglia siciliana che controlla il gruppo assicurativo Fondiaria-Sai. La tesi ufficiale l’hanno esposta i legali di Imco e Sinergia nelle udienze che si sono tenute ieri al Tribunale fallimentare di Milano di fronte ai giudici Roberto Fontana e Filippo D’Aquino: gli attestatori hanno bisogno di più tempo per preparare la relazione che, per legge, deve accompagnare il piano di ristrutturazione del debito secondo l’articolo 182 bis della Legge fallimentare. La verità invece è probabilmente quella che qualche ora più tardi ha espresso a margine di una presentazione il numero uno del Fondo Hines, Manfredi Catella, candidato a sostenere quel piano rilevando debiti e immobili in capo alle due società dei Ligresti: «Bisogna ancora trovare gli investitori». Ovvero mancano i soldi, perché, come affermerebbe una lettera firmata dallo stesso Catella e depositata durante l’udienza insieme a una memoria, finora è stato raccolto solo un quinto delle risorse necessarie per avviare il piano di ristrutturazione.
Il progetto prevede il conferimento al fondo Hines di immobili per 293 milioni di euro (243 milioni di accollo del debito e 50
milioni in contanti). Dalla bozza presentata resterebbe fuori il 3% dei creditori e le banche creditrici escuterebbero le azioni che hanno in pegno, compresi i titoli Premafin in pancia a Imco e Sinergia. Uno dei punti critici è considerato il debito verso il fisco, stimato dalla procura tra 17 e 25 milioni di euro. Le due holding, in liquidazione, hanno debiti complessivi per circa 400 milioni di euro a fronte di attivi per circa 290 milioni. E dei 100 milioni stimati necessari ad avviare la ristrutturazione, ne sarebbero stati raccolti da parte di Hines solo 20. Pochi, talmente pochi che hanno indotto la procura, rappresentata in udienza dal pubblico ministero Luigi Orsi (titolare dell’indagine penale sul gruppo Ligresti) a ribadire la richiesta di fallimento delle due holding. Alcuni possibili alleati del fondo di Catella, come l’Enpam (la cassa dei medici) da tempo in affari con i Ligresti e l’Enasarco (quella degli agenti di commercio) hanno ufficialmente declinato l’invito.
«I 15 giorni servono per presentare tutta la documentazione, ormai completata, agli investitori in modo da consentire loro di fare le valutazioni», ha ribadito Catella, aggiungendo: «Siamo stati identificati ad aprile come soggetto con cui approfondire la questione, a maggio è stata fatta la due diligence
e ieri abbiamo chiuso tutte le operazioni propedeutiche». Eppure la posizione del fondo, che dice di investire «in modo socialmente responsabile», non appare tanto limpida, in quanto oltre ai dubbi sulla consistenza economica dell’offerta rimane qualche perplessità sulla composizione dell’azionariato. Il primo socio di Hines Sgr è, con una quota del 67%, il gruppo internazionale Hines, colosso del ramo immobiliare. I partner italiani, oltre allo stesso Catella (10%) sono nientemeno che la
Fonsai dei Ligresti col 18% del capitale e il raider di Borsa Francesco Micheli, vicino alla famiglia siciliana fin dai tempi dell’acquisto di Fondiaria da parte della Sai (Micheli fu uno dei “cavalieri bianchi” che evitò ai Ligresti di lanciare l’Opa totalitaria). Un incrocio di nomi vecchi e nuovi e di salvatori che coincidono con i salvati e che non lascia per niente tranquilla la procura. Il giudizio del Tribunale fallimentare sulle due settimane di tempo è atteso per oggi.
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