L’EUROBUROCRAZIA

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Questo piano richiederà , nella migliore delle ipotesi, altri tre anni per essere attuato. C’è un rischio non piccolo che quando la direttiva diventerà  finalmente operativa, l’oggetto delle sue amorevoli attenzioni, la moneta unica, non ci sia più rendendo tutto questo lavoro del tutto inutile.
Su invito della Confederazione Europea dei sindacati, la Commissione Europea sta in questi giorni elaborando anche una sua proposta per il cosiddetto “Social Compact”. L’idea è quella di dare all’Europa condizionalità  non solo nell’imporre piani di aggiustamento fiscale (il “Fiscal Compact”), ma anche nell’attuazione di politiche sociali, volte a contenere i costi della crisi. Il proposito è nobile, ma il risultato rischia di essere controproducente. I programmi sociali compatibili con l’aggiustamento fiscale richiederanno cambiamenti non piccoli nella composizione della spesa sociale nei diversi paesi – ad esempio espandendo i programmi di assistenza di base e riducendo la generosità  dei sistemi pensionistici – e questi cambiamenti sono politicamente
e socialmente difficili. Se i cittadini europei pensassero che i responsabili di questi interventi sono istituzioni europee lontane da loro, che mancano di legittimazione democratica, si darebbe un aiuto insperato al populismo centrifugo, a chi in tutti i paesi dell’Unione spinge per la sua disgregazione scatenando la ribellione contro i tagli alla spesa sociale imposti da Bruxelles.
La Commissione Europea dovrebbe in questo momento essere concentrata sullo spegnimento dell’incendio, dedicare tutte le sue energie a trovare modalità  per permettere la conduzione di una politica monetaria comune nell’ambito dei trattati e, se necessario, progettare percorsi accelerati di modifica dei trattati per reagire in modo adeguato alla crisi. Se vuole occuparsi anche di coordinamento delle politiche sociali, bene che fissi delle priorità . Non sono, a nostro giudizio, le politiche attive del lavoro, gli stimoli alla ricerca di un lavoro, che, notoriamente, non funzionano durante le recessioni, quando non c’è domanda di lavoro e ci sono troppo pochi posti vacanti in rapporto a quanti cercano un impiego. Non possono neanche essere politiche che richiedono ulteriori impegni di spesa ai governi, dato che sarebbero incompatibili con il consolidamento fiscale.
Le priorità  per un coordinamento delle politiche sociali a livello europeo sono altre. Due
in particolare, ci sembra rispondano meglio di tutte alle esigenze attuali.
Si tratta innanzitutto di rimuovere i tantissimi ostacoli che si frappongono alla mobi-
lità  territoriale dei lavoratori, in termini di riconoscimento dei titoli professionali, di portabilità 
di diritti assicurativo-previdenziali e di asimmetrie nelle politiche dell’immigrazione
(gli immigrati sono la componente più mobile della forza lavoro europea). Poter cambiare paese in cerca di lavoro per molti giovani è l’unica opzione possibile per non subire danni a vita nelle proprie carriere lavorative e questa crisi colpisce in modo molto diverso il Nord e il Sud dell’Europa, offrendo opportunità  di impiego a chi si sposta nell’ambito dei confini dell’Unione. Inoltre i cittadini tedeschi — che continuano a condividere il modo con cui la Merkel sta gestendo la crisi dell’Euro — avrebbero un atteggiamento ben diverso rispetto agli aiuti ai paesi in difficoltà  quando vedessero arrivare in Germania grandi flussi migratori dalla Grecia e dalla Spagna. Dopotutto la paura di grandi flussi migratori è stato ciò che ha creato sostegno all’Ovest per i massicci trasferimenti concessi all’Est della Germania dopo l’unificazione. L’unificazione del mercato del lavoro nell’Unione è importante economicamente ed ha una funzione persuasiva molto superiore alle migliaia di parole sprecate in questi mesi denunciando gli egoismi della Merkel. Invece di fare tutto questo, la Commissione sta assistendo senza reagire ai tentativi di smantellare quel poco di libera circolazione dei lavoratori che c’è già , a partire dalle restrizioni imposte agli accordi di Schengen.
La seconda priorità  per l’Europa sociale è legata ai minimi di sussistenza che dovrebbero essere garantiti ad ogni cittadino dell’Unione. Nel momento
in cui l’Europa chiede tagli alla spesa pubblica, compresa quella sociale, come condizione per finanziare il debito dei paesi in difficoltà , la Commissione dovrebbe preoccuparsi di evitare che i singoli paesi smantellino la rete di assistenza sociale di base. Dovrebbe anche spingere quei paesi che non hanno ancora questa rete (guarda caso Grecia e Italia che sono particolarmente investiti dalla crisi) a metterla rapidamente in piedi, permettendo che i fondi comunitari vengano destinati prioritariamente al contenimento della povertà  estrema e fornendo assistenza tecnica ai paesi nel migliorare le tecniche con cui accertano le condizioni di bisogno per selezionare i beneficiari dell’assistenza.
La Commissione ha il potere di stabilire l’agenda europea, può dettare le priorità . È un potere, in questo momento, non trascurabile. Ma se disperde la sua iniziativa su troppi fronti e non sa scegliere le priorità , rinuncia a questo potere, rischia di diventare ancora più irrilevante di quanto non sia già . E rischia di farsi odiare dai cittadini europei più di quanto non lo siano quei leader europei sulle cui spalle grava la responsabilità  di questa nuova recessione. Bene allora concentrarsi su ciò che è davvero importante per la sopravvivenza dell’Unione. Tutto il resto, in questo momento, è retorica, noia, maledetta
noia.


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