by Editore | 7 Giugno 2012 8:11
Le sue cronache marziane o «Fahrenheit 451» hanno sullo sfondo una società massificata, dove i singoli – con i loro bisogni e desideri – sono percepiti come una minaccia per l’ordine costituito. Nulla a che vedere però con l’universo concentrazionario dei paesi oltre la cortina di ferro. Lo scrittore parla delle società europee e statunitensi, sviluppate dove il lavoro è ridotto ad appendice di un sistema di macchine che scandisce la vita dentro e fuori la fabbrica o l’ufficio. Testi, romanzi, sceneggiature che non concedono sconti all’affluente America. La rivolta può essere individuale, ma anche collettiva. Ma tende sempre a una valorizzazione del singolo, sottraendolo a un sistema tecnico che distrugge memorie individuali e collettive e che non tollera il benché minimo dissenso. È questa tensione ribelle, anarchica che ha fatto presa su scrittori della generazione successiva quella di Bradbury, quasi contemporaneo all’altro visionario che ha condizionato non poco la science fiction, cioè Philip K. Dick. La freccia spezzata tra passato, presente e futuro è l’elemento che li accomuna, mentre tante sono le differenze. Ma è questa interruzione del tempo del comando che ha appassionato altri scrittori, da Bruce Sterling a William Gibson, gli ispiratori del movimento cyberpunk che fanno della memoria l’oggetto del conflitto tra un potere pervasivo e chi si vuole sottrarsi ad esso. Con una differenza, però. Per Bradbury la rivolta può produrre una nuova società al di fuori della modernità delle macchine. L’epilogo di «Fahrenheit 451» è in bucolico e primitivo sottobosco sulle rive di un ruscello. Per il cyberpunk, la rivolta è invece sempre metropolitana, anche quando miscela sincretismi voodo e virtuosismo informatico; oppure quando sceglie come «location» un postapocalittico Golden Gate Bridge trasformato in una cablatissima zona temporaneamente autonoma da chi vive ai margini della società . Zone temporaneamente autonome che popolano ormai l’immaginario collettivo. E che possono essere pensate grazie anche all’ironico e beffardo Ray Bradbury.
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