LE VITE DEGLI ALTRI SONO TANTE FALENE

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Lo dice molto bene Emanuele Trevi nel suo ultimo libro, Qualcosa di scritto. C’è stato un momento, a metà  degli anni ottanta, in cui la letteratura ha smesso di essere un organismo proteiforme e si è stretta dentro un’unica possibilità : la narrativa. Gli editor sono diventati le divinità  capaci di trasformare il materiale pulsante, magmatico degli scrittori, in una storia “che funzioni”. E’ il trionfo della trama e della letteratura “che non pensa più nulla”. Adesso siamo mani e piedi dentro quel tempo, non c’è dubbio. Eppure ogni tanto qualche autore si smarca, e fa quel che vuole. Infischiandosene delle trame e dei romanzi, lasciando che siano le parole a riprendersi il palcoscenico. Tra questi, c’è sicuramente Eugenio Baroncelli.
Sessantotto anni, ravennate, ex professore di italiano e latino. Scriveva saggi sul cinema, ma da qualche anno si dedica a una letteratura così bizzarra che è anche difficile definirla: scrive minuscole biografie di persone note o sconosciute, soggetti raccolti in volume, epifanie di grazia e intelligenza. E’ appena uscito il terzo libro di questa “serie”, sempre per Sellerio, intitolato
Falene, “237 vite quasi perfette”. Lo si legge piluccandolo, andando su e giù scegliendo tra i nomi quelli che conosciamo o ci incuriosiscono. Emily Brontà«, che il 24 settembre 1848 prese freddo, e tornata a casa si assottigliò. Ci sono inventori, poeti (Paul Celan, l’uomo d’autunno, che se andò in primavera gettandosi nelle acque di un fiume straniero, “per fare al Destino l’unico dispetto possibile”), musicisti. C’è Margaretha Geertruida Zelle detta Mata Hari, vergine e puttana, che è andata a letto con molti uomini, con principi e milionari, con Céline e Marinetti, ma ha amato solo gli ufficiali. Fu fucilata all’alba, e rifiutò di farsi bendare gli occhi. Ad alcuni dedica solo alcune righe, ad altri qualche pagina. Di Marguerite Yourcenar, che non è una donna ma “un monumento di pietra dura come il suo cuore”, dice quasi tutto. Di come ha vissuto, di come ha amato, della sua nascita e della sua rabbia. Forse perché è la scrittrice che scrisse “Dubitare è scrivere”? E poi ci sono gli sconosciuti, o i famosi di cui non dice il nome perché sono degli indovinelli. Baroncelli non ama internet, o meglio: non sa proprio cosa sia. Passa le sue giornate dentro le biblioteche, a compulsare saggi e biografie, a cercare storie curiose. Si lascia portare qua e là  da dettagli che lo affascinano, fino a scoprire cose misteriose che di certo non avrebbe rintracciato nella rete. O forse sì, ma cosa importa? La questione non è se Baroncelli sia un erudito di antica fattura o un eccentrico come ne verranno ancora. La questione è, come sempre, la letteratura. Avere il talento e il coraggio per sapere che scrivere non è somigliare agli altri, affannarsi perché chi legge riconosca nei libri qualcosa di sé e dell’esistenza che lo circonda (cito ancora Trevi) ma piuttosto essere “un detonatore, una catastrofe che genera cambiamenti irreversibili nella vita… In grado di fecondare forme di follia adeguate a quella grandezza”. Ed è per questo che vale la pena leggere tutto quello che scrive Baroncelli.


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