Le vacanze sul Baltico delle avanguardie tedesche

by Editore | 3 Giugno 2012 9:00

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Le frastagliate coste del Baltico, quelle immortalate da Caspar David Friedrich, le frange nordiche comprese tra Lubecca e Danzica furono nei primi decenni del Novecento meta di alcuni turisti particolari: i pittori dell’avanguardia tedesca di più varia estrazione. Infatti, dai morbidi impressionisti inizio secolo (Lovis Corinth) agli espressionisti del gruppo Brà¼cke (Erich Heckel, Max Pechstein) e agli affiliati del Cavaliere azzurro (Alexej Jawlensky), e aggiungendo gli spiritualisti geometrici del Bauhaus (Lyonel Feininger) e dadaisti eccentrici come Hannah Hà¶ch, Kurt Schwitters o George Grosz, tutti si ritrovavano in estate su quelle spiagge.
Una mostra al Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona, sul versante svizzero del Lago Maggiore, documenta quarant’anni di questo sodalizio estivo e le influenze anche dirette che quei luoghi ebbero sui singoli artisti. Ma soprattutto fa riaffiorare scorci di privato lontani dall’ufficialità  anche burrascosa di quegli anni (Il Mar Baltico delle Avanguardie 1890-1930, fino al 10 giugno).
Scopriamo così Feininger (di cui, tra l’altro, sono qui esposti alcuni bellissimi acquerelli) in una foto nel ’27 che lo ritrae davanti al Baltico come una sorta di Monsieur Hulot, con soprabito e cappello, in bilico su una gamba e l’ombrello puntato verso il cielo. Raoul Hausmann tratteggia invece in un sensuale disegno a matita la compagna Hannah Hà¶ch (di cui possiamo vedere le silouhette da lei fatte ad Hausmann e ad Arp), anche lei assidua di quelle spiagge fino alla loro rottura che, nel ’22, coinciderà  con la fine del dadaismo. E scopriamo che forse proprio lì sul Baltico nel ’18 i due avevano avuto l’idea quei loro collage con materiali fotografici, in ciò forse ispirati da alcune foto-ricordo del servizio militare ricorrenti in quelle case, litografie in cui al centro campeggiava la recluta con il volto ripreso da una fotografia.
Schwitters si diverte invece a raccogliere, insieme ad Hans Arp materiali abbandonati dal mare, ricavandone affascinanti assemblaggi (si veda, di Arp, Il fagotto del naufrago), e nell’estate del ’23 i due scrivono a quattro mani anche un bislacco romanzetto grottesco: La primavera filiforme di Franz Mà¼ller. E con stupore scopriamo che Schwitters, fantasioso manipolatore di scarti e rimasugli che poi montava in delicati collage, in quelle sue vacanze dipinge con forti pennellate paesaggi marini (una tela è qui esposta), casolari abbandonati, meritandosi appieno il titolo di “Caspar Friedrich del dadaismo” rifilatogli da Hausmann.
Grosz lì sul Baltico si riposa osservando («si vede un gran viavai di presunti intenditori d’arte, di donne atletiche insoddisfatte vestite coi pantaloni», scrive a un amico), e disegna sul suo blocchetto i villeggianti, la piccola borghesia nazional-socialista, corrispettivo vacanziero della fauna cittadina delle sue incisioni di quegli anni. Oppure interviene a matita su una cartolina, aggiungendo un buffo pescatore su una roccia, un pesce, navi in lontananza e un dirigibile in cielo. E mentre a Berlino viene sottoposto a processo per “vilipendio alla religione” (è il suo quarto processo, quello per i disegni dello Svejk di Hasek per Piscator), Grosz costruisce castelli di sabbia su cui però inalbera una bandiera rossa sufficientemente provocatoria per i nazionalisti del posto che adornano la sabbia con scritte, decorate con conchiglie, inneggianti ad Hitler. 
Ultimi bagliori di quiete. Di lì a poco il nazismo li obbligherà  quasi tutti a cercar scampo all’estero.

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