Le tensioni per la «governance» I cardinali parleranno a Ratzinger

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MILANO — «Il Concilio Vaticano II ha ricordato che Cristo rimane sempre il principio e la fonte dell’unità  di vita dei presbiteri…». Quando Benedetto XVI parla in Duomo per la celebrazione dell’«Ora media» ci sono migliaia di sacerdoti e religiose, una quantità  di vescovi e una ventina di cardinali, il segretario di Stato Tarcisio Bertone, l’arcivescovo Angelo Scola, il presidente della Cei Angelo Bagnasco e così via, tutti davanti al Papa che prega perché «si perseveri a servizio di Dio e a edificazione della Chiesa».
Chiaro che tutto rischi di apparire un po’ surreale, lo sforzo di Benedetto XVI di ricomporre le divisioni e mostrare l’unità  della Chiesa si trova a fare i conti con lo sconcerto delle diocesi del mondo e un disagio crescente nell’episcopato italiano per la rete di corvi, trame e veleni degli ultimi mesi. «Vatileaks» è un gioco di specchi e in questo clima è circolata nei giorni scorsi la voce che i pezzi da novanta della Chiesa italiana, da Bagnasco a Scola, meditassero un documento per porre il problema della «governance» vaticana. Voce non confermata, anche perché si dice sia improbabile che una contestazione così delicata venga affidata, di questi tempi, a uno scritto. Però il problema viene posto e sottotraccia si spiega piuttosto che i cardinali italiani potrebbero parlarne al Papa in questi giorni, per quanto il ritmo serrato degli appuntamenti non lasci molto tempo al pontefice che tra un appuntamento e un altro torna a riposarsi in Arcivescovado, «ospite» dell’arcivescovo Scola. 
La tensione non nasce oggi: già  nell’estate del 2009, dopo le polemiche sulla remissione della scomunica ai lefebvriani e la gestione del caso del vescovo antisemita Willamson, ci fu un incontro a Castel Gandolfo nel quale cardinali come Ruini, Bagnasco, Scola e l’austriaco Christoph Schà¶nborn suggerirono la sostituzione del Segretario di Stato. Si disse che il Papa abbia tagliato corto: Der Mann bleibt wo er ist, und basta, «l’uomo resta dov’è e basta». 
Da allora il cardinale Bertone, a dispetto delle voci di cambi «imminenti», è stato più volte riconfermato: da ultimo mercoledì, quando Benedetto ha «rinnovato» pubblicamente la sua «fiducia ai miei più stretti collaboratori». Anche la vulgata che vorrebbe un Bertone che lascia «alla scadenza dei 78 anni», il 2 dicembre, è infondata poiché non esiste nessuna scadenza: l’ufficio di Segretario di Stato non ha età  pensionabile e si esercita ad nutum Summi Pontificis, il che significa che al Papa basta un cenno («nutum») per cambiarlo se e quando vuole. Il predecessore Angelo Sodano non fa testo, visto che lasciò l’incarico a due mesi dai 79 anni e nel frattempo era cambiato il Papa.
C’è chi dice che Benedetto XVI potrebbe mettere mano a una riforma e un «dimagrimento» della Curia, ma Ratzinger ha più fiducia nella riforma «spirituale» che in quelle strutturali. Resta così il tentativo, arduo, di ricomporre un quadro spezzato. «Ci auguriamo che ciò contribuisca a ristabilire un clima di serenità » ha concluso ieri padre Federico Lombardi dopo aver negato contrasti tra i cardinali della commissione di vigilanza dello Ior sulla «sfiducia» decisa dal board al presidente Ettore Gotti Tedeschi: «Non vi è assolutamente alcuna divisione». 
Ancora venerdì sera la Santa Sede smentiva ci fossero state riunioni e confermava solo una «consultazione» informale senza decisioni. Ieri la pubblicazione della notizia che due cardinali — il presidente dell’Autorità  di informazione finanziaria Attilio Nicora e Jean-Louis Tauran — non avessero voluto votare la ratifica del provvedimento sostenuto dal cardinale Bertone è stata smentita dicendo che venerdì la commissione ha «preso atto» della decisione del board «laico» e ha «comunicato per iscritto» a Gotti Tedeschi che «le funzioni della presidenza dell’istituto sono passate ad interim, come da statuto, al vicepresidente». Del resto non risulta alcuna votazione o firma dei cardinali, la «presa d’atto» riconduce tutto al board laico. E il cardinale Nicora aveva sostenuto la prima versione della legge antiriciclaggio, poi modificata con un decreto che ridimensiona l’Authority che presiede. A dimostrazione delle tensioni, sulla vicenda si confrontano due «verità » speculari. L’avvocato della Santa Sede Jeffrey Lena, tra gli autori della seconda legge, rovescia la prospettiva: «Lo Ior ha cominciato ad adeguarsi agli standard internazionali ben prima dell’arrivo di Gotti Tedeschi nel 2009 e nessuno più di chi ci lavora desidera l’ingresso nella white list», dice. «Purtroppo la sua destituzione è stata collegata a una immaginaria “lotta per la trasparenza” nella quale Gotti Tedeschi era visto come un simbolo di trasparenza, e chi non era d’accordo con lui voleva un passo indietro: niente di più falso». Le ragioni della destituzione «stanno tutte nel memorandum di Anderson», dice insomma Lena, non ci sono «ordini» di Bertone e la «dignità » dei cardinali va tenuta fuori. Verità  speculari, appunto: la Santa Sede attende «a luglio» di sapere se sarà  ammessa nella white listdell’Ocse, si vedrà .


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