Le sfide delle donne nella lettera di una partigiana

by Editore | 3 Giugno 2012 8:54

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Le tante letture che si possono fare di Libere sempre portano tutte all’originalità  di un libro che sa raccontare un pezzo di storia d’Italia, dalla Resistenza agli anni del berlusconismo declinato nella versione veline e olgettine, attraverso la lente della condizione femminile. L’autrice, Marisa Ombra, astigiana classe ‘25, partigiana nelle Langhe cantate poi da Beppe Fenoglio, dirigente dell’Unione Donne Italiane nel dopoguerra, nel 2006 Grande Ufficiale della Repubblica, s’è decisa a mandare una lunga lettera «un messaggio un bel po’ più lungo di quelli che ci mandiamo al cellulare», ad una amica, una ragazzina di 14 anni, incontrata casualmente a Villa Pamphili, complice l’esuberanza di un labrador, Ettore. Un messaggio per mettere in guardia, per capire, per avere risposte, anche da qualcuno nato 73 anni dopo, davanti «allo sconcerto che provano le donne come me, il disagio che ho davanti a una ragazzina seminuda in tv e a una donna che punta sulla bellezza, cercando unicamente di piacere agli uomini e non sentirsi umiliata per questo». Non c’è moralismo ma chiedersi il perché si sia arrivati qui, è il filo che traccia il percorso di una ragazza d’allora, che a scoprire la propria bellezza, libertà  e dignità , la storia le aveva regalato un’occasione terribile ma unica. «In quei venti mesi, accadde che tantissime ragazze entrassero, insieme ai ragazzi, in quell’avventura di guerra. Non era mai accaduto prima». Con gli stessi problemi di quelle d’oggi: «Un dolore mi condusse all’anoressia, allora lo chiamavano esaurimento nervoso», la stessa scoperta del proprio corpo, la stessa inadeguatezza percepita delle adolescenti, la stessa scoperta dei desideri. La guerra partigiana, la convivenza tra giovani uomini e giovani donne, fu rivoluzionaria quanto gli ideali di chi salì in montagna. Energie pulite, messe poi nelle lotte operaie, nelle battaglie per la pensione alle casalinghe, nel movimento femminista. «Non puoi sapere la felicità  di quelle piazze, quei vestiti colorati, quei reggiseni buttati via. Avevamo deciso noi, da quel momento cosa era o non era la bellezza. Mai più specchio del desiderio altrui». Poi trent’anni fa il disincanto, un’onda regressiva che anche le ragazze coraggiose del ’45 non hanno saputo fermare: «È stata un’operazione culturale costruita, i modelli dominanti che hai trovato quando sei nata non sono apparsi casualmente». E le donne come Marisa non l’hanno capito per tempo? Non hanno saputo trasmettere le idee, le battaglie? Ancora domandarlo a una ragazzina è un modo per capire: «Forse che il potere ci ha messo un’altra volta nell’angolo?». C’è solo da riprendere consapevolezza, che però non tutto è andato perduto. «In fondo non è passato un secolo, che metà  del mondo sia emersa prendendo velocemente il suo posto, portando energie fresche e intelligenze, è un auspicio che già  da solo basta a restituirti un futuro».

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