Le condizioni di un’alleanza

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Quella di un euro senza testa e senza stato e quella di un Paese che da dieci anni non cresce né economicamente né socialmente. Pesa anche, va detto con chiarezza, la coerenza con cui il Pd ha scelto la strada più difficile e più responsabile: quella di far prevalere gli interessi generali e non i vantaggi della propria parte.
Riconoscere questa responsabilità  vuole dire percorrere una strada in cui le ragioni del lavoro, degli esclusi, dei giovani precari, dei pensionati, di tutti coloro che stanno pagando sulla propria condizione i costi sociali ed umani della crisi, abbiano una esplicita centralità  nei programmi di risanamento e di ricostruzione del Paese. L’equità  non può essere solo predicata quasi fosse un tributo dovuto e nulla più. Deve diventare il cuore delle politiche fiscali e redistributive e anche il modo di difendere il welfare nella sua accezione più alta, quella di fondamento dell’eguaglianza e della cittadinanza, oltre che fattore di crescita e di sviluppo. Se si vogliono fare le cose seriamente, occorre partire dalle cause vere che hanno bloccato il Paese dalla nascita della moneta unica. Una moneta forte richiede un adattamento che non si è realizzato, soprattutto per responsabilità  di un centrodestra incapace di governare il cambiamento necessario. Anzi, responsabile della difesa e dell’aumento di privilegi e del tutto irresponsabile dal punto di vista della lealtà  e responsabilità  fiscale. La cultura del pensare a se stessi, l’egoismo e l’individualismo proprietario, il rifiuto del rispetto delle regole, la pigrizia di una parte del sistema imprenditoriale, la chiusura corporativa degli interessi forti hanno alimentato una pratica di governo che ha portato il Paese sull’orlo del baratro.
Lo stesso governo Monti che ha il merito di aver ridato credibilità  e ruolo all’Italia non può avere l’orizzonte di una politica duratura di ricostruzione. Può svolgere un ruolo nella transizione, anche se ha commesso errori evidenti e che è bene non nascondere. Ma non può, anche per il mandato ricevuto dal Parlamento, porsi l’obiettivo più ambizioso e più necessario. Proprio la difficoltà  ad uscire dalla crisi dimostra la profondità  delle trasformazioni che sono necessarie. Mentre la crescita di formazioni politiche a carattere personale e spesso venate da populismi pericolosi determinano un carico di responsabilità  senza precedenti. Bisogna in sostanza presentarsi davanti a un Paese confuso ed impaurito con un messaggio chiaro e forte, che sappia guardare in faccia alla realtà . E dire con decisione che il ritorno alla lira non rappresenterebbe solo una sconfitta, ma una vera e propria avventura, soprattutto per la parte più debole. E si deve fare anche una cosa in più. Il Paese va mobilitato, le energie migliori vanno utilizzate, e le passioni risvegliate. Nessuno può tirarci fuori dai nostri guai, non ci sono salvatori alle porte.
L’etica che dobbiamo coltivare è quella della responsabilità  comune e del farsi attori del nostro futuro. Per quanto difficile, questa è l’unica strada possibile. La politica non deve lasciare soli i cittadini, deve avere l’ambizione di un progetto alto, deve aprirsi e rinnovarsi. Ai cittadini tocca un compito altrettanto impegnativo: non credere a scorciatoie che non esistono, non pagare altri tributi a richiami senza fondamento, sentirsi soggetti pieni del proprio destino.


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UN PARTITO, il maggior partito italiano, in preda al panico. Incapace di prendere una decisione, una qualsiasi decisione. L’immagine che la Direzione dei democratici ha fornito ieri è esattamente questa. Una forza politica che si contorce su se stessa. Ma soprattutto che mostra la sua noncuranza rispetto alle conseguenze che queste “non-scelte” potranno avere.
A cominciare dal governo.

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