by Editore | 3 Giugno 2012 12:39
ROMA — Non è bastato schierare meno uomini (2.500 invece dei soliti 6.000) e meno mezzi. Né tenere nelle scuderie i cavalli, nelle caserme i sistemi d’arma, negli hangar gli aerei. E non è servito neppure diffondere i dati sul taglio dei costi (2,6/2,9 milioni contro i 4,3 del 2011) e dedicare alle vittime del terremoto la sfilata ai Fori Imperiali. Da destra a sinistra, senza contare l’emotivamente caricatissimo «popolo del Web», si sono rincorse anche ieri le contestazioni alla festa del 2 Giugno. Con dure accuse per la richiesta — non accolta — che fosse dato un concreto segno di solidarietà all’Emilia in lutto e sotto choc, cancellando sia il ricevimento di venerdì sera sul Colle sia la parata militare. In modo che quelle risorse fossero destinate all’emergenza.
Proteste che il presidente della Repubblica, a fine giornata, mentre passeggia nei giardini del Quirinale aperti alla gente e dunque come sempre molto affollati, respinge con toni sferzanti. Minimizzandole in un breve bilancio con i cronisti, che gliene chiedono un parere. E a sua volta contrattaccando: «Alcune polemiche erano vecchie posizioni negatrici del ruolo delle forze armate e della parata militare… alcuni invece hanno usato strumentalmente l’emergenza del terremoto».
Dello stesso tenore liquidatorio il giudizio di Giorgio Napolitano su certi «vuoti» istituzionali nel palco delle autorità . In primis il posto riservato al sindaco di Roma, Gianni Alemanno, critico fin dall’inizio sull’idea stessa di festeggiare. «Assenze, dite? Non so di quali assenze significative si parli… Io ho visto molte presenze ampiamente significative. La partecipazione popolare, poi, è stata tale da dimostrare che c’era un consenso larghissimo sulla necessità di mantenere, anche se in tono minore, le celebrazioni». Celebrazioni che — aggiunge, per ricordarlo a tutti — si sono svolte all’insegna della «vicinanza alle popolazioni terremotate», mentre molte delle polemiche andate in scena erano «simili a quelle di uno, due, cinque anni fa».
Ancora più aspra, riassunta in cinque parole, la replica a chi gli domanda che cosa pensi della sortita di Antonio Di Pietro, il quale ha definito questo 2 giugno «una sagra dello spreco». Per il capo dello Stato semplicemente «non sa di che parla». Una battuta che innesca un prevedibile battibecco. Con il leader dell’Idv che, a stretto giro, rincara la dose alla sua maniera: «Per Napolitano io non saprei quel che dico, ma lui non solo non sa quel che fa, ma addirittura non se ne rende conto. Criticando me ha offeso milioni di italiani che non la pensano come lui… qualcuno farebbe bene a informarlo che sono milioni i cittadini che hanno trovato di cattivo gusto la parata e il ricevimento a base di pasticcini, torte e champagne… il tutto mentre migliaia di persone vivono nelle tende, senz’acqua e senza cibo».
Davanti a questo crescendo che avvelena una giornata concepita per simboleggiare «la coesione e la solidarietà nazionale» (cui va forse sommata anche la sprezzante battuta di Roberto Maroni, che aveva parlato di «soldi buttati nel cesso»), dal Colle filtrano in serata i sentimenti umiliati del capo dello Stato. Infatti si sottolinea che, «di fronte a scelte di sobrietà e di rigoroso risparmio di cui tutti hanno potuto rendersi conto, parlare di ricevimenti “a base di pasticcini, torte e champagne” (che davvero non c’era; ndr), di “parate di cattivo gusto” e di “inutile e costoso sfarzo della casta” significa non sapere, appunto, di cosa si parla. O se lo si sa, è evidente che si tratta solo di polemiche strumentali».
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