«Chi lavora lo fa a suo rischio»
CARPI (Modena) — Il documento dice: «Ciascun dipendente che ritiene opportuno continuare a lavorare libera la proprietà da qualsiasi responsabilità penale e civile». È datato 4 giugno ed è finito ieri mattina nelle mani di Antonio Mattioli, responsabile per le Politiche industriali della Cgil Emilia Romagna. «Si chiede ai lavoratori — spiega lui — di firmare una liberatoria per poter tornare a lavorare. Il concetto è: se succede qualcosa sono affari tuoi. Non ci sono aggettivi per giudicare un atteggiamento del genere. Chi fa cose del genere lo sappia: noi gli faremo la guerra».
In questo caso la «guerra» è contro la Forme Physique di Carpi, azienda del settore moda-abbigliamento che conta 13 dipendenti. Non la sola «nemica», secondo Mattioli, che sostiene di avere «segnalazioni, però senza documenti, di comportamenti simili per altre 5-6 aziende, fra la provincia di Modena e di Reggio Emilia. Non sembra un caso isolato».
«Io ho sempre detto che bisogna ripartire subito, ma in sicurezza» è stata la reazione del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che si è detto «preoccupato» e che ha ribadito: «La prima considerazione deve essere la sicurezza». Il segretario generale della Cgil Susanna Camusso parla di «approfondimenti in corso» e dice che «la notizia mi ha stupito, quando siamo stati lì non è emerso nulla in questo senso». E l’azienda si difende: «Non era un ricatto, siamo stati fraintesi, nessuno ha firmato e tutti sono entrati a lavorare» prova a spiegare la titolare, Paola Zerbini, che a Skytg24 dice poi «Mi sono espressa male, chiedo scusa». Dalla sua parte anche tutti i lavoratori, giura chi è disposto a parlare di questa faccenda. Sandro Poli è uno di loro e offre un comunicato dei dipendenti nel quale si dice che «solo in un primo momento» l’azienda aveva proposto un documento per rendere «edotti i lavoratori» e che «già dal mattino successivo l’ipotesi era stata ritirata». Lo studio di consulenza del lavoro della ditta aggiunge che «era stata offerta la possibilità di lavorare nei container ma loro hanno chiesto di lavorare all’interno». Insomma, un pasticcio. Finito già ieri mattina sul tavolo del procuratore di Modena Vito Zincani che si sta occupando (assieme al suo aggiunto Lucia Musti) anche di un’indagine sulle presunte trivellazioni legate al vecchio progetto (ora bloccato) sul mega-deposito di gas a Rivara, a San Felice sul Panaro. La procura di Ferrara, invece, ha indagato un’altra decina di persone per i morti sotto i capannoni nel sisma del 20 maggio portando così a una trentina gli inquisiti.
Ieri è stato anche il giorno delle nuove vittime. Liviana Latini, 65 anni, di Cavezzo (Modena) ha lottato per una settimana contro un «trauma da schiacciamento». Era rimasta sepolta dalle macerie (l’unica) per molte ore e salvarla, quel giorno, sembrò un miracolo. Nemmeno Sandra Gherardi, ferita gravemente alla testa, ce l’ha fatta. Lei aveva 46 anni e viveva a Cento (Ferrara). Il numero dei morti sale così a 26.
Anche a loro due pensava ieri il presidente Giorgio Napolitano mentre dal Quirinale arrivava l’annuncio che quello del 2 giugno è stato «un ricevimento sobrio» costato meno di 200 mila euro, la stessa cifra che è stata devoluta dal Colle alle popolazioni colpite dal terremoto con tagli al bilancio interno.
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