Lavoro, un primo sì. Ma si tratta ancora

by Editore | 20 Giugno 2012 8:30

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ROMA — «Sarà  un percorso a ostacoli…». Dario Franceschini sospira preoccupato e così gli altri capigruppo reduci dal vertice con Elsa Fornero alla Camera. Un confronto aspro, spigoloso, per sbloccare l’impasse sulla riforma del lavoro: un campo minato dai veti incrociati dei partiti. E alla fine la notizia buona è che le forze politiche si impegnano ad accelerare l’iter parlamentare perché il 28 giugno Mario Monti possa arrivare al Consiglio europeo di Bruxelles con le nuove norme sull’articolo 18 in tasca. Ma saranno giorni di passione, lunedì verrà  posta la questione di fiducia per blindare il testo e nessuno è disposto a giurare che prima non ci siano incidenti in commissione.
Una soluzione al dramma degli esodati, ancora non si trova. Al Pd non basta il «tavolo tecnico» proposto da Fornero e spera ancora in un decreto. I soldi però non ci sono e il governo non scioglie la riserva. E quando Piero Giarda, ministro dei Rapporti con il Parlamento, dice che non si può chiedere all’esecutivo «di risolvere un problema così in tre giorni», Franceschini perde la pazienza: «Ma se avete avuto sette mesi!». Ancor più ostico il Pdl, che alza l’asticella delle richieste. Cicchitto si aspetta «precise risposte a precise proposte» e dice chiaro che il prezzo per il via libera sono la detassazione dei premi di produttività  e più flessibilità  in entrata. Argomenti che provocano scintille col Pd, determinato a incassare più ammortizzatori sociali. E quando Giarda si concede una battuta sul fatto che ancora una volta, con la fiducia, il governo toglie le castagne dal fuoco ai partiti, Cicchitto s’inalbera: «Parole irresponsabili». 
E così a far da sponda alla Fornero resta solo il Terzo polo, disposto ad approvare la riforma così com’è. Ma il ministro vuol vedere il bicchiere mezzo pieno, dice che l’incontro con Franceschini, Cicchitto, Galletti, De Poli, Della Vedova, Damiano, Moffa, Cazzola è stato costruttivo» e apprezza la «disponibilità » dei partiti a fare in fretta. Quanto alle «puntualizzazioni» di Pd e Pdl, potranno essere affrontate «anche in altri provvedimenti». Domani la riunione dei capigruppo deciderà  come cambiare il calendario per accelerare l’iter, ma oggi stesso dovranno arrivare le risposte del governo. Sì, perché senza un accordo blindato basta che in commissione passi anche un solo emendamento e tutto può saltare… 
Elsa Fornero entra a Montecitorio alle 18 e 35, abito color crema e il viceministro Michel Martone al fianco. Quando vede i cronisti allunga il passo, le chiedono del presidente di Confindustria, che ha definito «una boiata» la sua riforma e il ministro Piero Giarda, per farla tacere, le mette affettuosamente una mano sulla bocca. Ma la professoressa non si sottrae: «Squinzi? Spero si ricreda…». Per adesso chi è tornata in parte sui suoi passi è proprio lei. Ha ammesso che altri 55 mila lavoratori andranno «salvaguardati». Ha aperto a modifiche del testo dopo una fase di monitoraggio e ha promesso che non ci saranno «dogmi». E alla fine il Pd, con Anna Finocchiaro, apprezza le «parole positive».
La giornata di Elsa Fornero entra nel vivo dopo le quattro, con l’informativa al Senato. Tra i banchi del Pdl le sedie vuote si contano a decine, l’accoglienza è fredda e svogliata, c’è chi chiacchiera e chi si alza, chi telefona e chi gioca con l’iPad. La presidente Emma Bonino agita il campanello per richiamare all’ordine, ma Fornero tira dritto e si toglie qualche pietruzza dalle scarpe. La polemica sul numero degli esodati? «Respingo di aver dato informazioni non vere e di aver sottratto dati». Per il Pd parla Nicola Latorre e non affonda la lama. Maurizio Gasparri invece ringrazia ironicamente per «l’autocritica» il ministro e le rimprovera «arroganza» e «scarsa attenzione alle ragioni del Parlamento». Ma Giuliano Cazzola è ottimista: «Il 28 la riforma sarà  legge…». E in serata a «Ballarò» il sottosegretario Antonio Catricalà  avverte tutti: «Siamo in mezzo al guado e dobbiamo stare uniti nella cordata. Chi la abbandona per salvare se stesso è un disertore».

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